E’ il 25 marzo 1973, termina la regular season peggior della storia dell’NBA: un record di 9-73 viene fissato accanto ai Philadelphia 76ers, detentori tutt’oggi del triste primato. Il tutto ovviamente con il beneplacito degli Charlotte Bobcats 2011/2012, autori di un 7-59 all’interno della stagione del lockout, una stagione per forza di cose dotata di asterisco. I Sixers di quell’annata erano un “run and gun team” da 115.2 possessi per 48 minuti: se gli Houston Rockets giocavano con lo stesso pace, tutte le altre squadre erano decisamente più lente.
Non che questo giocasse a favore dei Sixers: questo dava agli avversari molte più occasioni per penetrare all’interno di una difesa porosa, una difesa con tremendi problemi nell’evitare di subire canestro un’azione sì e quella successiva pure. Si trattava di una squadra priva di talento realizzativo dato che tre dei cinque top scorers (Tom Van Arsdale, Bill Bridges e Kevin Loughery) non riuscivano neanche a convertire il 40% dei propri canestri. Gli altri due, Fred Carter e John Block, tiravano rispettivamente col 42.1 e il 44.1 percento dal campo. Complessivamente Philadelphia tirava solo col 42 percento dal campo, il peggior dato di tutta la Lega al tempo: basti pensare che battevano anche i Cleveland Cavaliers, autori di un 43.5 percento, ben distante da tutte le altre squadre presenti, tutte con una mira pari o superiore al 44.4 percento.
Le sconfitte in quella stagione iniziarono da subito ad essere contagiose, dato che si iniziò con ben 15 sconfitte di fila, per poi passare a 21 nelle prime 22 partite e a 38 nelle prime 41 partite. Curiosa la descrizione della squadra data da Carter, ovverosia di un “centro benessere universale, dove ogni team con qualche malattia poteva trovare sollievo”. A dirla tutta quella squadra aveva nomi di rilievo come lo stesso Carter, Van Arsdale o Hal Greer, tutti giocatori tuttavia ben oltre i rispettivi prime. La streak iniziale di sconfitte ha subito fatto perdere fiducia al team che, a detta del centro titolare Mel Counts, “giocava comunque egoisticamente e individualmente”. Col passare del tempo le interviste circa quella squadra sono diventate sempre più divertenti, svelando il lato ironico di alcuni giocatori protagonisti al tempo. “Non augurerei un’intera stagione del genere neanche al mio peggior nemico”, disse lo stesso Counts fino a passare al commento di Block: “In un certo senso è positivo essere conosciuti per qualcosa all’interno dell’NBA”.
Per meglio giudicare la straordinarietà (o l’indecenza) di questo 9-73 basti pensare alla versione 2015/2016 degli stessi Philadelphia 76ers, ossia una collezione di giocatori da D-League e seconde scelte al Draft mischiate con giocatori al tempo considerati dei prospetti come Nerlens Noel e Jahlil Okafor: una squadra ampiamente progettata per terminare con un record negativo, come difatti dimostra il 10-72 finale. Una squadra da “perdere e perderemo” che sotto il general manager Sam Hinkie, ideatore del concetto di “The Process” (fruttuoso a posteriori e ampiamente criticato al tempo), ha iniziato la stagione col record di 1-21, in perfetta linea con la tabella di marcia del 1972/1973: Hinkie fu cacciato, ma non cambiò la linea d’onda di quei Sixers, i quali tuttavia sono il vero motivo per il quale oggi a Philly ci sono Joel Embiid e Ben Simmons. Ecco, i Philadelphia 76ers 1972/1973 sono riusciti, involontariamente, a fare peggio di una squadra che vedeva ogni notte nella sconfitta una vittoria: segno che probabilmente nessuno riuscirà mai a spodestarli.