Amarcord

L’angolo del ricordo, Derrick Rose MVP: uno dei più grandi “what if” della storia NBA

Derrick Rose
Derrick Rose

3 maggio 2011: Derrick Rose diventa a 22 anni il più giovane MVP della storia NBA. Una storia e una carriera particolari e struggenti, toccanti la più alta vetta durante la stagione 2010/2011 quando Derrick si consacra definitivamente nell’olimpo del gioco. Derrick sentiva che questa sarebbe stata la stagione della svolta: già nel media day che aveva aperto l’annata Rose aveva domandato ai cronisti presenti che cosa gli impedisse di vincere, anche se solo al terzo anno, il premio di MVP. Tutti presero quelle affermazioni come un’esagerazione.

Eppure Rose disputa una stagione strepitosa con medie da 25.0 punti 4.1 rimbalzi e 7.7 assist a partita, diventando solo il settimo giocatore della storia della NBA a sostenere tali medie, e con uno stile di gioco spettacolare ed un atletismo debordante. L’ex Tigers viene ovviamente anche selezionato titolare per l’All Star Game 2011, diventando il primo giocatore dei Bulls dai tempi di Michael Jordan a ricevere tale onore, ed a fine anno viene incluso nel primo quintetto All-NBA. A lavoro concluso il numero uno può liberamente spiegarsi con più chiarezza: “Al training camp, quando dissi che volevo diventare MVP, non stavo affatto cercando di essere arrogante. Sapevo che avevo lavorato molto duramente in estate, e volevo solo spingermi a dare sempre di più. Jordan? Non sono nemmeno lontanamente vicino a lui. Sarebbe molto avvicinarsi a ciò che lui è stato. Questa è una squadra diversa, in un’era diversa”.

Rose colleziona in totale più di 2000 punti, 600 assist e 300 rimbalzi, uno dei sei giocatori nella storia a riuscire a realizzare una singola annata con tali cifre (prima di lui solo Oscar Robertson, Michael Jordan, LeBron James, dopo di lui James Harden e Russell Westbrook). Con 62 vittorie i Chicago Bulls ottengono il miglior record NBA nonostante i diversi problemi di infortuni, con Joakim Noah e Carlos Boozer, il frontcourt titolare, che giocarono rispettivamente 48 e 59 partite. Rose trascinò una squadra che aveva sì un buon roster (Luol Deng, Kyle Korver, Keith Bogans, Taj Gibson, Ronnie Brewer, C.J. Watson, il 38enne Kurt Thomas, Omer Asik più i sopracitati Noah e Boozer) ma di certo non il più forte della Lega.

Chicago entra nei playoffs con grandi ambizioni, il primo turno è contro gli Indiana Pacers. Rose, tanto per mettere le cose in chiaro, in gara-1 segna 39 punti ed in gara-2 altri 36: i Bulls vincono la serie in 5 partite. Anche gli Atlanta Hawks al secondo turno vengono eliminati e Chicago arriva alle finali di Conference con il fattore campo a favore, per la prima volta dai tempi di Michael Jordan. Gli avversari sono i Miami Heat del big three James-Wade-Bosh, che nel frattempo avevano eliminato i Philadelphia 76ers e i finalisti NBA in carica dei Boston Celtics. Chicago stravince gara-1 di 21 punti, ma quella sarà l’unica loro vittoria nella serie. In difesa LeBron James si occupa in prima persona di Rose e riesce a contenerlo alla grande: Miami vincerà in 5 gare, prima di perdere le Finals contro i Dallas Mavericks. Il futuro sembra comunque sorridere ai Bulls, forti di un giocatore pronto a dominare la NBA per gli anni a venire e che sembra avere il mondo ai suoi piedi: profeta in patria, volto umile, silenzioso, modesto, che condivide i meriti con i compagni di squadra e non smette di ringraziare la sua mamma che da piccolo lo ha allevato in un quartiere difficile, un giocatore che piace ai tifosi ed agli sponsor.

Nessuno avrebbe potuto intuire che quella appena trascorsa sarebbe stata l’ultima annata senza problemi fisici per Derrick. Il 28 aprile 2012 i Chicago Bulls aprono la loro post-season dopo una stagione regolare accorciata dal lockout, la “serrata” degli addetti a lavori col prolungarsi dei negoziati per il nuovo contratto di lavoro collettivo, e stagione in cui l’MVP in carica ha giocato sole 39 partite a causa di diversi acciacchi. In gara-1 contro i Philadelphia 76ers, Rose va a canestro nei minuti finali di una partita già chiusa per i Bulls, salta, e quando atterra il ginocchio sinistro cede. La diagnosi è impietosa: rottura del legamento crociato anteriore sinistro, infortunio che lo costringerà a un lunghissimo stop. I playoffs di una squadra sotto shock finiscono al primo turno, 4-2 per i Sixers. La stagione 2012/2013 è quella della lunga e vana attesa: salterà tutta la stagione mentre i Bulls conviveranno per gli ultimi tre mesi di stagione con la fanfara mediatica sull’imminente ritorno della loro star.

Da quel momento si è capito che il vero Derrick Rose non sarebbe mai più tornato: avrebbe avuto sprazzi di vecchio Derrick Rose, senza tuttavia mai ricordare ciò che era stato fino alla partita contro Philadelphia. Non sono mancati i momenti di gioia, come il buzzer beater della vittoria in gara-3 contro i Cavs ai playoffs 2014/2015, alternati tuttavia con molteplici picchiate: i trascorsi in canotta Knicks e Cavs ne sono un esempio. In fattispecie durane l’esperienza newyorkese è andato vicino al ritiro: “Avevo deciso che avrei smesso. Avevo visto che ciò che era accaduto ai Bulls stava accadendo di nuovo a New York. La stagione non stava andando come avei voluto, e come in tanti si aspettavano. Non sapevo cosa fare, non ero sicuro di voler continuare, soprattutto quando capii che si trattava soprattutto di business, e poi solo dopo di sport, di pallacanestro. Un giocatore lo sa, ma io avevo perso la gioia per il gioco, non mi divertivo più (…) la mia famiglia mi convinse a ripensarci, ma probabilmente in quell’occasione persi la fiducia dei Knicks nei miei confronti”.

Dopo il fallimento anche coi Cavs viene messo in una trade a febbraio con la quale finisce agli Utah Jazz. A Salt Lake City Rose non giocherà neanche una partita, taglio immediato per un giocatore che non rientra nei piani della squadra di coach Quin Snyder: è il punto più basso della carriera di Derrick Rose. Un punto in cui quasi ogni altro giocatore si sarebbe arreso, avrebbe detto basta di fronte ai continui infortuni che lo avevano martoriato per tutta la sua carriera, che lo avevano reso un giocatore insicuro, con un freno a mano mentale tirato e timoroso di infortunarsi di nuovo ad ogni entrata a canestro, ad ogni balzo. C’è poi la firma coi Minnesota Timberwolves dove trova in Tom Thibodeau, coach ed ex suo allenatore ai Bulls, un estimatore. Ai playoffs Thibodeau decide di puntare sull’esperienza di Rose, che gioca cinque partite di alto livello segnando 14.2 punti a partita e marcando Harden dall’altra parte. Abbastanza per riguadagnarsi la fiducia dei T’Wolves per una seconda stagione.

Stagione in cui mostra una brillantezza fisica mai vista dai tempi d’oro dei Chicago Bulls, chiudendola con 18 punti e 4.3 assist a partita, con un convincente 37% al tiro da tre punti, e regalando agli appassionati di sport una di quelle serate da ricordare.
Il 31 ottobre al Target center di Minneapolis, Rose segna 50 punti contro gli Utah Jazz (gli stessi che l’avevano scartato), sigilla la vittoria finale con una stoppata su Dante Exum, che ha in mano il pallone del pareggio, e dopo la gara piange di gioia: la serata perfetta. Ciò gli ha fruttato un biennale da 15 milioni di dollari ai Detroit Pistons: non arrendersi non l’avrà fatto tornare MVP, ma gli ha permesso perlomeno di tornare ad amare il gioco e di guadagnarsi il rispetto e l’amore dei tifosi.

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