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Kobe Bryant è stato uno dei giocatori più forti della NBA. Già, è stato: la notizia della sua morte scaturita oggi da un incidente in elicottero ha sconvolto il mondo, e non solo quello della pallacanestro. Figlio di Joe Bryant, era anche nostro figlio: ha iniziato a giocare sin da piccolo in Italia, spostandosi da Rieti a Reggio Calabria, per proseguire a Pistoia e a Reggio Emilia. Poi, l’entrata in NBA: nel 1996 viene scelto dagli Charlotte Hornets alla tredicesima scelta, per poi essere spedito ai Lakers in cambio di Vlade Divac.
Le prime vittorie, e che vittorie, giungono col three-peat con Shaquille O’Neal e Phil Jackson: i losangelini non hanno realmente rivali in questo triennio sconfiggendo in finale in ordine Pacers, Sixers e Nets. Le stagioni successive sembrano un girone infernale a causa dell’implosione dei Lakers al termine della stagione 2003/2004. Gli anni successivi furono molto bui per la franchigia californiana che ebbe come luce proprio quella di Kobe: il Mamba innalzò nel deserto tecnico che aveva a fianco la sua media punti, arrivando persino a segnare quegli 81 leggendari punti allo Staples Center contro Toronto. Il periodo di magra finisce nella stagione 2007/2008 con l’arrivo di Pau Gasol: in quella stagione i Lakers divennero capi lega della Western Conference, in più Kobe, dopo tante fatiche, riuscì a vincere l’agoniato premio MVP della regular: una stagione tuttavia terminata dalla sconfitta alle Finals contro i Celtics del trio Garnett-Pierce-Allen.
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La rivincita arriva tuttavia nella stagione successiva e alle Finals contro i Magic, i quali furono messi in ginocchio da Kobe e compagni, senza possibilità di rialzarsi: Kobe riesce a vincere il suo quarto anello, il primo senza Shaq. I Lakers si ripeteranno l’anno successivo vincendo una spasmodica gara-7 contro i Celtics: il prima numero 8 e poi 24, raccogliendo il quinto pezzo d’argenteria, è solo a un anello dal suo sogno, ossia quello di essere messo nella stessa frase di Micheal Jordan, l’idolo della sua vita e l’ispirazione di ogni suo giorno. Purtroppo questo sogno non si avvererà mai, ma il Mamba è comunque riuscito a togliersi altre soddisfazioni. Il febbraio del 2011 quando, dopo una prestazione da 37 punti e 14 rimbalzi, vinse il suo quarto MVP della partita delle stelle, eguagliando il primato assoluto di Bob Pettit. Il 5 dicembre 2012 ha raggiunto i 30.000 punti in carriera, il più giovane giocatore della storia a firmare tale traguardo. Il 30 marzo 2013 ha superato Wilt Chamberlain nella classifica dei migliori realizzatori di sempre. È diventato inoltre il primo giocatore della storia ad aver segnato 30.000 punti e smazzato 6.000 assist in carriera. Il 14 dicembre si è lasciato alle spalle Michael Jordan nella classifica dei migliori realizzatori All Time, piazzandosi al terzo posto assoluto alle spalle di Kareem Abdul-Jabbar e Karl Malone: terzo posto che, ironia della sorte, da poche ore è stato occupato da LeBron James.
Il 29 novembre 2015 Kobe Bean Bryant annuncia il suo ritiro dalla NBA con una lettera d’amore alla sua amata, la pallacanestro. Questa notizia sconvolge tutti: i fan della NBA che capiscono che, dalla prossima stagione, il Black Mamba non giocherà più. Il numeri 8 e 24 sono ora issati allo Staples Center, con sotto il cognome di quel giocatore che per tutta la sua carriera è stato amato e odiato, criticato per il suo brutto carattere e per il suo individualismo, elogiato per la sua bravura e per la sua mentalità cestistica, la quale porta il nome di “Mamba Mentality”.
Se il suo ritiro ha sconvolto i fan, sicuramente la sua morte avrà gettato nello sconforto più totale i cuori di tutti gli appassionati di questo sport e non: tutti in questo mondo conoscono, o hanno sentito parlare, di Kobe Bryant. Un giocatore che dentro e fuori dal campo ha dimostrato tenacia, dimostrazione ed etica del lavoro, il tutto misto a cattiveria agonista, ossessione per il gioco e a una voglia di vincere che davvero nessuno ha mai avuto nei confronti della palla a spicchi. Una figura che sembra immortale e che oggi morendo ha gettato la morte nel cuore di chi ama questo sport.
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