Il fenomeno coronavirus arriva anche negli Stati Uniti. Dopo le recenti preoccupazioni espresse da qualche giocatore (il primo è stato C.J. McCollum, a Portland), la NBA ha scelto di indirizzare un memo a tutte le sue trenta franchigie, per chiarire la propria posizione e raccomandare massima attenzione. “La salute e la sicurezza dei nostri impiegati, delle squadre, dei giocatori e dei tifosi è la cosa più importante. Ci stiamo già coordinando con tutte le squadre, consultandoci con il Center of Disease Control and Prevention e con alcuni specialisti: continueremo a monitorare la situazione da vicino”, si legge nel comunicato. Tra le precauzioni suggerite ai giocatori quelle di “sostituire gli high-five coi tifosi con un semplice fist bump (il pugno)”, ma anche di non accettare penne, palloni e maglie da autografare, cercando così di limitare al massimo il contatto con parti terze. Ma non è solo nel rapporto tra giocatori e tifosi che si annidano le preoccupazioni della lega, che inizia invece a domandarsi quanto l’epidemia legata al virus COVID-19 possa influenzare alcuni eventi regolarmente previsti dal calendario NBA.
Dal memo fatto circolare tra le squadre, viene anche ipotizzato che un giocatore, se trovato positivo al virus, potrebbe saltare fino a due settimane di campionato, ma se questo è abbastanza per mettere in guardia gente come C.J. McCollum, meno preoccupati sono sembrate altre superstar NBA. “Continuerò a firmare autografi – ha fatto sapere Kemba Walker, l’All-Star dei Celtics – al massimo andrò in giro con il mio pennarello personale”. Quasi di sfida, invece, l’atteggiamento di un altro All-Star, la stella dei Miami Heat Jimmy Butler: “Io non ci penso nemmeno al virus, continuerò a essere la persona che sono sempre stato, e sono certo che così faranno anche tutti gli altri”.