La domanda banale che potrebbe sorgere sembra anche quasi del tutto scontata: verrà fischiato o no al suo ritorno ad Oklahoma City? Parliamo di Kevin Durant che nella giornata di ieri ha comunicato il suo passaggio, attraverso le colonne del The Players’Tribune, ai Golden State Warriors. Un biennale da 54,3 milioni di dollari che dunque porta i servigi di uno dei più grandi fenomeni del gioco alla corte della franchigia californiana.
My next Chapter, questo il titolo della lettera che ha sconvolto gli animi e fatto impazzire i social network di tutto il mondo, quello chiaramente della palla a spicchi. Inutile nascondersi, il passaggio del giocatore nativo di Washington in una delle squadre più forti della storia del basket americano, sconvolge totalmente ed è la scossa definitiva al già vibrante terremoto della free agency della Nba.
A primo impatto potrebbe sembrare (e forse lo è) nemmeno una cifra così alta per un giocatore di tale caratura, soprattutto alla luce di giocatori (certamente più limitati) che negli ultimi giorni hanno firmato contratti economicamente dilaganti.
Una decisione umana e soprattutto tecnica che necessita un avanzamento per gradi. A Kevin Durant sarebbe convenuto rinnovare il suo rapporto lavorativo: avrebbe guadagnato più soldi e sicuramente dal punto di vista dei legami avrebbe sicuramente e definitivamente consacrato una sovranità (mai in dubbio) sulla comunità di casa Thunder. Senza dimenticare il fattore tecnico poi, in cui sarebbe stato la superstar e la prima scelta, sempre e comunque, nella manovre tattiche dei giochi di Donovan.
E’ partita l’accusa di massa ed il pubblico giudizio non fa altro che ripetere, nella sua massima parte, di come il nuovo giocatore dei Warriors abbia scelto la strada più semplice. Ma è per forza un male? E’ forse una via che non è lecito percorrere o che è stata viziata da male fede? Assolutamente no, a tal punto che oltre ad il giocatore è stata la stessa società a marcare come, in determinati momenti, un cambi può essere una conseguenza logica e necessaria.
Soprattutto quando devi essere un vincente per forza, in un mondo (quello Nba) che non lascia spazio ad etichette. Quello stesso mondo che a causa del tuo stesso talento ti affibbia sin dal primo possesso il destino segnato del conquistare un anello, trasformando quella che dovrebbe essere semplice ambizione in una forma subdola e logorante di ossessione, a maggior ragione dinanzi ad un talento e ad una classe come quella del numero #35.
Stephen Curry, Klay Thompson , Kevin Durant, Andre Iguodala, Draymond Green: ecco il quintetto della squadra di San Francisco per la prossima stagione. Sulla carta imbattibili, un mix di furibondo e cristallino talento capace di piegare anche le pagine più sacre della storia. E poi quel gioco, una ventata dal futuro che con il nuovo arrivo potrebbe assumere i connotati del fantascientifico.
Primo problema: la leadership. Curry e Thompson hanno ancora nella testa e negli occhi il canestro di Irving e la furia di LeBron James, Durant con l’ossessione di alzare un trofeo. Il gioco visto negli ultimi anni potrebbe addirittura sviluppare un aggiornamento 3.0, con Green che potrebbe rappresentare in uno uso più costante e continuato la nuova evoluzione del “lungo” moderno. Si giocherà in una sorta di corrida, una torcida senza sosta, fatta di possessi brevissimi e tiri rapidi che potrebbero consentire così un giusto apporto, da ognuno delle star. Soffrire magari a rimbalzo ma con lo scopo di fare un punto in più dell’avversario.
Durant come LeBron: no. Quando James andò a Miami, in una sorta di comparazione tra figurine, Wade valeva Thompson ma Bosh non vale Curry, Durant e uno come Green). E Spoelstra era un allenatore emergente e la squadra tutta da costruire, a Golden State no. Non esistono paragoni tra quello o quell’altro ancora, esiste il basket ed una squadra che potrebbe rivoluzionarne l’espressione.
I Golden State Warriors, rebus sic stantibus, sono i più forti ma mai vorrei scommettere sulla competitività di uno per esempio come Greg Popovich (allenatore dei San Antonio Spurs). Vincere: questa la parola chiave che riassume la vicenda e questa stessa parola se non domata ed assopita in equilibrio perfetto potrebbe rivelarsi un boomerang suicida.
http://www.sportface.it/primo-piano/basket-nba-kevin-durant-e-un-nuovo-giocatore-dei-golden-state-warriors/54700