“Voglio entrare nel mondo del calcio. Sono stato un atleta individuale in uno sport di durata. Il calcio è uno sport di squadra giocato da singoli. Voglio diventare preparatore atletico e mettere la mia esperienza al servizio di un ambiente nuovo”. Intervistato da ‘La Repubblica’, il marciatore italiano Alex Schwazer, che ha scontato una lunga squalifica per doping per quello che è stato uno dei casi più controversi degli ultimi anni, ha rivelato uno dei sogni nel cassetto, lui che il 26 dicembre compirà quarant’anni e che si è sentito tradito dal mondo dell’atletica. Tanto da pensare di restare nello sport, che è un elemento legato a doppio filo alla sua vita e al quale non può rinunciare, ma cambiando disciplina: “Voglio uscire dai soliti schemi. Credo molto nell’interscambio di opinioni tra varie discipline. Se stai sempre nel tuo ambiente e vedi sempre le stesse cose non vai oltre”, ha spiegato.
LA VICENDA DOPING E LA BATTAGLIA CON LA WADA
Medaglia d’oro nella marcia alle Olimpiadi di Pechino 2008 e campione iridato ai Mondiali nel 2012, ma poi squalificato nel 2016 per doping (dopo una prima positività nel 2012, con patteggiamento nel 2014), il campione di marcia ha sempre professato la sua innocenza, denunciando di essere stato vittima di un complotto ai danni suoi e del suo allenatore, Sandro Donati. Da qui, una lunga battaglia processuale nei tribunali, sia civili che sportivi, che hanno fatto diventare Schwazer un punto di riferimento per tutti gli sportivi – e non solo – che ritengono di essere vittima di errori giudiziari più o meno acclarati: “Gli ultimi 8 anni sono stati molto difficili. Ma la mia vita è sempre stata caratterizzata da alti e bassi. A 18 anni ero già convinto di smettere perché mi squalificavano sempre per marcia scorretta – ha raccontato, parlando invece degli albori della sua carriera – Lì stava per finire un sogno, quello di diventare un professionista dello sport. Avevo perso le speranze, una cosa che non mi è accaduta più in seguito. In poco tempo sono diventato un marciatore molto forte, è arrivato l’oro di Pechino nella 50 km”.
E’ quindi il momento di tornare a parlare della sua lotta contro la Wada, l’agenzia mondiale antidoping: “La Wada si è chiesta a un certo punto: ammettiamo che c’è stato un errore o restiamo sulla nostra linea? La manipolazione delle provette è un evento possibile, come abbiamo visto con i russi alle Olimpiadi invernali di Sochi 2014. E poi c’è gente che per la stessa sostanza prende un anno, due, otto o anche niente. La disparità è anche economica: il sistema costa troppo, non puoi difenderti. Una persona normale molla anche se non vorrebbe”.
SCHWAZER E IL CASO SINNER
A questo proposito, Schwazer parla anche di Jannik Sinner, suo conterraneo e anche lui finito nel mirino della Wada per la vicenda del Clostebol, per la quale a inizio 2025 sarà istruito il processo. Il tennista numero uno al mondo, al momento, è stato scagionato da ogni accusa dall’ITIA, che ha supportato la tesi della contaminazione involontaria – tramite il massaggio effettuato dal fisioterapista poi licenziato – e dell’assenza di colpa da parte dell’altoatesino, ma l’agenzia mondiale antidoping ha voluto comunque vederci chiaro.
L’ormai ex marciatore italiano si schiera dalla parte di Sinner, ma fa notare come le possibilità di difendersi o meno dipendano anche dallo status dello sportivo in questione: “Il Clostebol è l’esempio classico di come le sanzioni non siano uguali per tutti. Sinner può permettersi di difendersi da solo, altri sono morti sportivamente in silenzio, condannati per la stessa sostanza e modalità assai simili. Jannik è certamente innocente e gli innocenti non devono mai prendere squalifiche: ma essere innocenti o no, a livello di giustizia sportiva e antidoping, conta zero. La politica è tutto, in questo mondo”, ha concluso.