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Il salto in alto è una disciplina che unisce la forza esplosiva del salto all’eleganza del volo. Poche frazioni di secondo per eseguire il gesto tecnico, poi pochi istanti per scoprire se l’asticella è caduta e se non l’ha fatto si può festeggiare. Può anche accadere di festeggiare un risultato storico lontano dai riflettori. E’ quanto successo a Sara Simeoni, che il 4 agosto 1978 divenne la nuova primatista del mondo, ma nessuno, se non i presenti, poterono seguire le sue gesta. Teatro del record fu un meeting tra Italia e Polonia svoltosi a Brescia, non distante dal paesino d’origine di Sara, Rivoli Veronese, che purtroppo non venne trasmesso in televisione e l’unica emittente locale presente, ironia della sorte, ritrovò i filmati della gara solo a distanza di anni. Un vero peccato, perché quel giorno Sara Simeoni, con la recente tecnica Forsbury, raggiunse quota 2.01 metri: primato mondiale.
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L’assenza di immagini fece addirittura dubitare alcuni che quel record fosse solo stato immaginato e non realizzato davvero. Fortuna, o meglio, bravura volle che Sara riuscì a ripetere quel salto perfetto anche agli Europei dello stesso anno. Sulla pista di Praga infatti, Sara eguagliò quel 2.01, aggiudicandosi così il titolo continentale davanti alle rivali tedesche Ulrike Meyfarth e Rosemarie Ackermann, la precedente primatista mondiale. Cosa volere di più del record del mondo? La risposta è semplice: l’oro olimpico. Per chi ha toccato altezze mai raggiunte da nessun’altra nella storia, potrebbe sembrare scontato imporsi sulle avversarie, ma ai Giochi Olimpici di scontato non vi è nulla. Arrivarono dunque le Olimpiadi di Mosca 1980. Fu un’edizione particolare dei Giochi: molti paesi occidentali la boicottarono e la stessa Italia rimase in sospeso fino all’ultimo. Alla fine, il nostro Paese partecipò, pur sfilando senza la bandiera tricolore ma solo dietro alla scritta “CONI” e con la promessa di non far suonare l’inno Nazionale.
Simeoni si presentò alla rassegna a cinque cerchi da favorita d’obbligo. La pressione si fece sentire: prima della finale una crisi d’ansia la travolse, sensazione di svenimento e lacrime incontrollabili. Poi tutto tornò alla normalità e la veronese scese in pedana per duellare con la “solita” Ackermann, amica oltre che rivale. Furono proprio loro due a giocarsi la medaglia del metallo più pregiato, con l’asticella fissata a 1.97. Entrambe le atlete sbagliarono il primo tentativo. Poi toccò nuovamente a Sara: iniziò repentinamente la rincorsa, tanto che la telecamera inizialmente la perse di vista, ma il salto fu magnifico: l’asticella rimase su e la pressione si spostò tutta sulle spalle della Ackermann. La tedesca non riuscì ad eguagliare l’azzurra, che esplose di gioia, festeggiando come mai prima. Prima i complimenti all’amica-rivale, poi un pianto liberatorio: Sara Simeoni era la nuova campionessa olimpica. Sara salì sul gradino più alto del podio e anche se non poté cantare l’inno di Mameli, la felicità si leggeva sul suo volto, nel sorriso sincero e gli occhi ancora lucidi. Sorriso e lacrime rimasti nella storia come simbolo di un’atleta straordinaria, che Gianni Merlo descrisse con meravigliose parole: “La Simeoni è stata l’ultima interprete di uno sport romantico. Le sue lacrime di gioia hanno inondato il cuore di milioni di spettatori“.
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