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C’era una volta un attaccante coi riccioli d’oro che segnava di testa, in progressione, con un tiro dalla distanza, in ogni modo e su ogni campo, che fosse campionato, Coppa Uefa, Coppa dei Campioni o Coppa del Mondo. Oggi i riccioli non sono più d’oro ma Rudi Voeller all’età di 60 anni compiuti da un giorno non ha intenzione di abbandonare il calcio. L’attaccante tedesco che più di tutti ha legato il suo nome alla Roma, da quasi quindici anni, è direttore esecutivo del Bayer Leverkusen. La scrivania ha prevalso sulla panchina dopo che le esperienze da allenatore sono naufragate con l’eccezione illustre del Mondiale 2002 da Ct della Germania condotta fino ad una finale che gli ha permesso di diventare il terzo calciatore a raggiungere l’ultimo atto iridato sia da giocatore che da allenatore. A Yokohama la sua Germania fu sbalzata via dal Brasile di Ronaldo per 2-0 e per lui due anni dopo si aprirono le porte della Roma alla ricerca di un allenatore dopo l’addio improvviso di Cesare Prandelli. Finì male e si dimise dopo appena quattro giornate dando il via ad una stagione che si concluderà con cinque allenatori cambiati sulla panchina, fino all’ultimo, Bruno Conti, un’altra vecchia gloria che successivamente abbandonerà la panchina per entrare nei ranghi dirigenziali.
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Per la Roma Rudi Voeller è il terzo marcatore straniero dopo Dzeko e Balbo. Per la tifoseria è stato un simbolo di una generazione che va al di là dei gol segnati. Eppure la sua prima stagione in giallorosso fu tutt’altro che esaltante e, con la complicità degli infortuni, mise a segno solamente cinque reti. Da quel momento fu un crescendo e quando nel 1990 riuscì a sollevare la Coppa del Mondo allo Stadio Olimpico di Roma, la Curva Sud fu tutta per lui, come se in campo giocasse la Roma. Per i giallorossi ha deciso derby, ha sollevato una Coppa Italia e ha sfiorato la Coppa Uefa persa in finale contro l’Inter dopo un suo gol decisivo in semifinale contro il Broendby. Lasciò la Capitale senza volerlo, quando a Roma sbarcò Vujadin Boskov. A Marsiglia vinse la Champions League, a Leverkusen trovò la sua casa. Ma il cuore è rimasto a Roma: “Il mio stadio Olimpico, lì sono diventato campione del Mondo. La Roma e la città di Roma per me avranno sempre un posto speciale”.
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