Ezio Sclavi
Amarcord

L’angolo del ricordo: Ezio Sclavi, portiere della Lazio e pittore

Al Mondiale del 1934 perse il ballottaggio col collega della Roma Masetti, a causa di un precedente infortunio e non fu convocato ma Ezio Sclavi, portiere della Lazio, provò ad esserci a tutti i costi. Anche senza le scarpe da calcio e senza le luci dei riflettori per quella Coppa Rimet che l’Italia solleverà per la prima di quattro volte. Ezio Sclavi, nato 117 anni fa, era un artista, non nell’accezione che spesso lega la parola alle doti tecniche dei calciatori sul rettangolo di gioco. No, Ezio Sclavi era a tutti gli effetti un artista, un pittore e in occasione di quella Coppa del Mondo del 1934 fu tra i concorrenti del concorso istituito dalla Figc per disegnare il logo del Mondiale italiano. Alla fine non fu la sua opera a vincere ma ciò non impedì al Littoriale di omaggiarla: “Nello Sclavi artista non si può sopprimere lo Sclavi atleta che ad occhi aperti sogna un groviglio di piedi, irosamente anelanti il contatto della sfera di cuoio. Sclavi ha questa visione che in lui eccita un fiero e violento spirito agonistico. Per ammirare il cartello bisogna soprattutto penetrare nell’anima di un artista che è atleta. E che atleta. Ezio Sclavi si avvicinò nei suoi primi anni all’atletica, in particolare al salto con l’asta (1). Poi la passione per il pallone sbocciò alla Farnesina tra i militari sportivi impegnati in ogni tipo di disciplina, calcio incluso. E quindi l’idea: diventare calciatore, portiere per la precisione.

Il logo di Sclavi  e il logo ufficiale del Mondiale 1934

Il suo nome è legato alla Lazio. Vestì la maglia biancoceleste per tutta la sua carriera con l’eccezione di due parentesi alla Juventus (chiuso da Combi) e al Messina e alla sua esperienza romana sono legati diversi episodi che rispecchiano a pieno il suo carattere. Permaloso, al punto da sfidare a duello il giornalista Eugenio Danese dopo aver letto un articolo poco lusinghiero nei suoi confronti salvo scoprire, pochi giorni dopo, di aver sbagliato persona: fu infatti Ennio Mantella a scriverlo e Danese a partire da quell’episodio divenne suo grande amico. Ma anche battagliero e impavido sul campo. Lo testimonia l’episodio del 10 maggio del 1931 quando, nonostante un colpo subito al volto che gli fece perdere i sensi, decise di restare in campo “distinguendosi per la sua bravura” (Il Littoriale). Oppure come il 18 febbraio 1934 in occasione di un match tra Padova e Lazio quando restò in campo nonostante un trauma che condizionò la sua prestazione. Il Littoriale si limitò a definirla “amnesia” (“Ha dato segni di vaneggiamento, non riconoscendo i compagni e chiedendo, stupefatto, dove si trovasse“) ma di fatto aveva subito una commozione cerebrale. Il 1934 è anche l’anno dell’addio definitivo alla Lazio. Si trasferì al Messina ma poco tempo dopo decise di partire volontario per la Guerra d’Etiopia dove fu fatto prigioniero in Tanganica (2). Tornò in Italia nel 1947 e poté dedicarsi alla passione della pittura al punto da esporre le sue opere in diverse mostre in Liguria. Fece parte di quella schiera di calciatori artisti o comunque intellettuali: lui pittore, Bernardini giornalista, Cappellini scrittore di romanzi. Altri tempi. Ma d’altronde lo ha detto anche Mourinho: “Se sai solo di calcio, non sai nulla di calcio“. 

(1): “Portieri eroi di sventura”, di Fausto Bagattini. Ultra Sport

(2): LazioWiki

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