Amarcord

L’angolo del ricordo: 1 maggio 1988, Sacchi si prende il Milan e lo scudetto

Arrigo Sacchi

Anche le più intense storie d’amore iniziano in modo traumatico e faticano a carburare prima di giungere alla propria maturazione. Lo insegna la letteratura, lo ribadisce il Milan di Sacchi. I primi mesi dall’arrivo del tecnico non erano stati esattamente di buon auspicio: in Coppa Uefa le cose non vanno benissimo e dopo una sconfitta indolore con lo Sporting Gijon che aveva però mostrato delle prime avvisaglie, a Lecce arrivò la disfatta nei sedicesimi contro l’Espanyol e dunque la prematura eliminazione dalla competizione che, unita ad alcuni risultati altalenanti in campionato come il ko contro la Fiorentina, portò ai primi malumori di una tifoseria che riconosceva però una rosa di estremo valore e le capacità di un tecnico che proponeva un calcio del tutto nuovo e non troppo semplice da inculcare. Quel 4-4-2 sorprendente dell’appena quarantaduenne romagnolo aveva già diviso l’opinione pubblica: una parte dei tifosi aveva già capito che il vento sarebbe cambiato di lì a poco, ma la stampa era avversa e anche un discreto numero di tifosi, che dopo la clamorosa sconfitta del Via del Mare chiesero l’esonero dello zonista Sacchi. Il primo strenuo difensore dell’allenatore, però, era il presidente Silvio Berlusconi, che aveva rilevato da poco la società: impossibile non ricordare quel “Lui resta, voi non so” in difesa del tecnico rivolto a chi chiedeva il ritorno di Fabio Capello.

Berlusconi aveva visto lungo e nella seconda parte della stagione le cose migliorano decisamente. Sgombra la mente da pensieri europei, i rossoneri si concentrano sul campionato e chiudono il girone di andata al secondo posto. Il Napoli di Maradona, però, fresco del titolo conquistato l’anno prima, sembra ancora troppo distante. Inizia però una rimonta lenta ma costante del Diavolo, che però non sembra approfittare più di tanto dei passi falsi dei partenopei, ancora avanti di quattro punti a fine aprile, con lo scontro diretto da giocare a Napoli l’1 maggio 1988. Si trattava di un campionato particolare: era quello della nuova riapertura delle frontiere con conseguente sbarco di diversi stranieri e il Milan si era aggiudicato i fenomenali olandesi Van Basten e Gullit, in più si era deciso di allargare il torneo a diciotto squadre dalla stagione successive, quindi con sole due retrocessioni che resero le ultime giornate un vero e proprio tourbillon.

Il Milan arrivò allo scontro diretto lanciatissimo con un bottino 41 punti, uno in meno del Napoli che conduceva la classifica a quota 42, ma ormai trascinandosi stancamente. A dir la verità, i ragazzi di Sacchi avrebbero potuto trovarsi davanti ai rivali già da tempo, visto che nel corso di una stagione elettrizzante due episodi extra-calcistici avevano aiutato, tra molte virgolette, i campani: il 27 settembre 1987 il Napoli vinse a tavolino a Pisa per via del lancio di petardi da parte dei tifosi di casa all’indirizzo dei giocatori ospiti, ma sul campo era finita 1-0 per i toscani. Accadde lo stesso in Milan-Roma il 13 dicembre, coi tifosi di casa che con dei fumogeni stordirono il portiere romano Tancredi che fu costretto addirittura alla sostituzione con Peruzzi: anche in quel caso sul campo fu 1-0 col gol di Virdis, ma il giudice sportivo assegnò lo 0-2 per i capitolini. In sostanza, il Napoli aveva ottenuto due punti in più, il Milan ne aveva persi due: quattro punti pesantissimi tra le due squadre, quando ancora però la possibilità di una lotta serrata per lo scudetto tra queste due squadre era ancora impossibile da prevedere.

Insomma, arriva finalmente il giorno dello scontro diretto, il giorno della verità in un San Paolo in fermento. Semplificando, in caso di vittoria partenopea lo scudetto sarebbe stato di fatto in tasca, visto che poi sarebbero mancate appena due giornate al termine, un successo dei rossoneri significava sorpasso in classifica con tutta la componente psicologica da considerare. “Voglio lo stadio pieno, e non voglio vedere nemmeno una bandiera rossonera”, parola di Diego Armando Maradona. I tifosi del Diavolo vennero comunque in massa dalla Lombardia, dove peraltro non fu possibile vedere la partita in diretta tv nonostante le numerose richieste; in Campania invece arrivò l’ok per la trasmissione dell’incontro più importante di tutta la stagione. Il profeta di Fusignano, inquadrato più volte dalle poche riprese a disposizione, appariva lucido e concentrato, ma dentro di sé, non ne dubitiamo, era un vero e proprio tumulto. Il suo progetto calcistico era a un bivio: vincere a Napoli significava provare al mondo calcistico tutto che il suo modo di giocare così innovativo e sperimentale era anche vincente. Pietro Paolo Virdis, tra i migliori interpreti del primo Milan sacchiano, porta in vantaggio i rossoneri con una punizione degna del Pibe de Oro, a Fuorigrotta cala un silenzio irreale e nella mente di qualche tifoso strisciante si insinua il pensiero che, forse, il miracolo di San Gennaro che proprio il giorno prima non si era compiuto doveva essere un qualche presagio di sventura. Maradona, però, non vuole sfigurare dinnanzi a PPV e disegna anche lui una punizione soffice e meravigliosa, che non lascia scampo a Galli e vale l’1-1 dell’intervallo. Nella ripresa, il nuovo vantaggio: ancora Virdis, stavolta di testa, firma l’1-2, poi Van Basten mette la sua griffe con il più facile degli appoggi che vale il tris, e a nulla serve la rete di Careca che accorcia le distanze per il definitivo 2-3. Il sorpasso si è concretizzato: è psicodramma Napoli, con altre due sconfitte su due fino al termine del campionato, bastarono due pareggi ai rossoneri, contro Juventus e Como, per festeggiare l’undicesimo titolo. Uno scudetto che, incredibile ma vero, fu l’unico di Sacchi, che però imperversò in Europa in quello che senza dubbio è stato il ciclo di vittorie più importante nella storia delle competizioni Uefa. Dal 21 ottobre all’1 maggio: poco più di sei mesi in cui, è il caso di dirlo, cambiò davvero tutto.

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