Amarcord

John Thomson e Sam English, destini incrociati: storia di una delle prime morti nel calcio

Quanti film sono incentrati sulle coincidenze del caso? “Se solo una cosa fosse andata diversamente…”, è una parte del monologo sulla concatenazione di eventi che determinano il destino de ‘Il Curioso Caso di Benjamin Button’. Il 5 settembre del 1931 Rangers e Celtic danno vita a quello che non è un film ma una partita di calcio, la più sentita in Scozia. Palcoscenico: l’Ibrox. Trama della storia: la più drammatica. Protagonisti del racconto due calciatori e uno sport, il calcio, ancora pionieristico come primordiale è quella rivalità che prenderà il nome di Old Firm. I due calciatori sono Sam English e John Thomson e le loro vite sono legate da una fitta concatenazione di eventi sul rettangolo verde del derby più antico al mondo. “Se solo una cosa fosse andata diversamente…”. Un fallo a centrocampo, una palla persa, un contropiede o più semplicemente la prudenza di entrambi. Ma niente. Sta di fatto che nei primi minuti del secondo tempo, il portiere John Thomson scivola lontano dai pali per contendere un pallone a Sam English e non si rialzerà più. Colpa di una ginocchiata dell’avversario sulla sua tempia: cranio fratturato e arteria rotta, morirà all’ospedale dopo una drammatica corsa in ambulanza. Eppure all’Ibrox si continua a giocare, dalla curva opposta arrivano persino dei cori di scherno contro l’estremo difensore avversario. Nessuno, salvo pochi presenti, ha intuito la gravità dell’episodio che passerà alla storia come una delle prime morti del mondo calcio.

Aveva ventidue anni John Thompson quando subì lo scontro fatale in campo. Ne aveva quattordici quando iniziò a lavorare in miniera, al fianco del padre. A Bowhill Colliery, che il 31 ottobre del 1931 divenne nota per un incidente che costò la vita a dieci minatori a seguito di una esplosione, lavorò per circa un anno, a 300 metri sotto terra. Il suo lavoro consisteva nello sganciare i ganci delle carrucole. Altri tempi. Eppure mai un incidente. E fu quel lavoro duro, racconta chi lo ha conosciuto, a forgiarne spirito e corpo. D’altronde chi a soli 22 anni può vantare un soprannome come “Il Principe dei portieri” attribuito dalla stampa locale? “Aveva l’abilità di librarsi nell’aria con l’abilità e l’agilità di un ballerino”, disse di lui il presidente del Celtic Desmond White. Lo scrittore Paul Donnelley rivelò che la madre provò sempre a dissuadere il figlio dal praticare quel calcio che ai suoi occhi sembrava tanto pericoloso. Una premonizione? Chissà. Sicuramente le sue preoccupazioni aumentarono il 5 febbraio del 1930 quando Thomson, nel tentativo di respingere un tiro, si fratturò la mandibola, alcune costole e perse due denti. Ma il giovane portiere non ascoltò i consigli materni, proseguì nel suo recupero e il 16 maggio riuscì persino a debuttare in Nazionale contro la Francia. Mancava un anno e mezzo a quel fatale incidente contro il Rangers in quel derby che in fondo lui non sentiva probabilmente in modo viscerale come gli altri. Nella rivalità più religiosa al mondo, Thomson vestiva verde ma condivideva la religione dei blu. Un protestante al Celtic nella tragedia più grande. La stessa tragedia che ha vissuto Sam English che al momento dell’incidente aveva solo un anno in più di John, 23. Non si conoscevano. John, figlio della contea di Fife e Sam, irlandese e costretto a trasferirsi in Inghilterra a causa dell’avversione dei tifosi scozzesi, nonostante chiunque abbia assistito alla scena, famiglia Thomson compresa, non l’abbia mai accusato per quell’episodio. Firmò per il Liverpool e continuò a fare quel che gli riusciva meglio: i gol. In maglia reds ne segnò 24 in quarantasette presenze. Ancora oggi è il miglior marcatore dei Rangers in una singola stagione: 53 reti nel 1931/32. Eppure, smise di giocare solo sette anni dopo quell’episodio a soli 30 anni. Sette anni che definì “senza gioia”. La sua è l’altra vita rovinata di quella concatenazione di eventi sul rettangolo verde dell’Ibrox.

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