“Roma e l’Italia in quest’occasione offriranno a tutti i convenuti la testimonianza dei progressi compiuti dal giorno della Liberazione e la prova dell’ansia di pace, nella libertà e nella sicurezza, propria del nostro popolo“. Così Amintore Fanfani, Presidente del Consiglio, presentò le Olimpiadi del 1960 a Roma. Una “ansia di pace” ribadita peraltro da Urbano Cioccetti, Sindaco della Capitale, che accolse centinaia di sportivi tra “il fascino di antichi monumenti e funzionalità di moderni impianti”. Perché se c’è stata una rassegna che ha cambiato il volto architettonico della Roma sportiva prima di Italia 90, non può non essere stata quella olimpica. E in particolare fu il calcio a subire diversi stravolgimenti con i vecchi impianti abbattuti e ricostruiti col volto di arene moderne e funzionali. Persino aree adibite ad ospitare molteplici impianti subirono stravolgimenti al punto da prevedere la metà degli stadi. Meno strutture ma più moderne. E’ il caso dello Stadio Flaminio. Nel quartiere omonimo, fino al 1957, gli stadi erano addirittura tre: lo Stadio Nazionale, edificato nel 1911, ristrutturato nel 1927 e dismesso nel 1953 dopo che l’usura e gravi lesioni ne avevano praticamente soppresso le possibilità di utilizzo. Poi lo Stadio della Rondinella situato nell’area alberata che oggi separa il Flaminio dal Palazzetto dello Sport. Ma non solo: anche il Campo Apollodoro, di proprietà del Coni e abbattuto tra il 1957 e il 1958. Al loro posto spazio quindi allo Stadio Flaminio, impianto polivalente e inaugurato con una partita tra le rappresentative dilettanti di Italia e Olanda. Oggi il Flaminio è in stato di abbandono e ha perso persino quello status di fratello minore dello Stadio Olimpico. L’impianto calcistico più importante della Capitale fu costruito sullo schema del precedente Stadio dei Cipressi, progettato dall’Arch. Luigi Moretti. La spesa complessiva dell’Olimpico fu pari a 3 miliardi e 400 milioni di lire. Fu ultimato nel 1953 sotto il nome di “Stadio dei Centomila”, in virtù della capienza prevista dal progetto originario. Poi ribattezzato “Olimpico” per la destinazione finale che in realtà non fu altro che il punto di partenza di un impianto che ancora oggi ospita Roma e Lazio. La capienza massima, in caso di necessità, è distante da quei 100.000 sognati dai vari architetti: 90.000. Ancora più distanti dalla capienza attuale dello Stadio Olimpico.
Il 1960 è anche l’anno della chiusura definitiva del Motovelodromo Appio, primo stadio dell’AS Roma al centro del quartiere Tuscolano. Ha ospitato per anni le partite di calcio ma la sua funzione originaria era diversa: ciclismo e motociclismo. Fu rimpiazzato dalla costruzione del Velodromo Olimpico all’Eur, dall’altra parte di Roma. Su quell’area oggi sorge un parcheggio e rappresenta un raro esempio di demolizione senza una soluzione alternativa in occasione dei Giochi Olimpici. Non molto lontano, per la rassegna olimpica, fu creata la zona sportiva Tre Fontane, un’area di 170.000 mq, destinata secondo il progetto originario al volley, hockey, rugby, bocce (con otto campi) e ad un campo da calcio con una tribuna da 5.000 posti. Ma non solo: sono molteplici gli impianti sussidiari dedicati all’allenamento degli atleti e che di fatto hanno cambiato il volto dell’architettura sportiva romana. Nei pressi della Basilica di San Paolo, sorge lo Stadio degli Eucalipti, destinato al calcio e all’atletica leggera con una capienza di 5.000 spettatori e oggi ribattezzato Stadio Berra.
Come l’ex Eucalipti, anche lo Stadio Stella Polare oggi (Giannattasio) ha un altro nome e non è più adibito al calcio. Situato a 500 m dal mare nella Pineta di Castelfusano, la Stella Polare aveva la possibilità nel progetto di ospitare circa 10.000 persone. Più vicino al Villaggio Olimpico, era il centro sportivo di Tor di Quinto con due campi regolamentari. Ma Roma fu solo il centro delle Olimpiadi. Il calcio nei gironi eliminatori per un totale di 24 partite si spostò anche più a Nord e a Sud: Firenze, Grosseto, L’Aquila, Livorno, Pescara e anche Napoli che ospitò le semifinali. Altri tempi, quando il San Paolo, che non si chiamava ancora così, poteva ospitare 90.000 persone. Oggi alcuni di quegli impianti ristrutturati a fine anni ’50 non sono più all’altezza dello sport moderno, altri sono persino abbandonati. E se quella rassegna olimpica fu una boccata d’aria fresca per le infrastrutture del paese, oggi l’Italia sportiva si scopre a corto d’ossigeno.