Amarcord

Cinque anni dopo la fine delle comproprietà: il futuro dei calciatori non è più in una ‘busta’

A pensarci bene sembra preistoria. Eppure dall’era delle comproprietà nel calcio sono passati solamente cinque anni. Era il 25 giugno del 2015 e le ‘buste’ – come erano chiamate in gergo – venivano aperte per l’ultima volta per definire la squadra di appartenenza dei calciatori col futuro ancora in discussione. L’ultimo retaggio di una mentalità che ha visto per anni il giocatore essere trattato come un pacco postale da spedire da qualche parte si è infranto in quella stagione grazie ad una risoluzione del consiglio federale della Figc del 27 maggio 2014 che abolì le compartecipazioni a partire dalla sessione di mercato dell’anno successivo. Ma cos’erano le comproprietà e le buste? Il meccanismo – esistente solamente nel calcio italiano in Europa – prevedeva la possibilità per due squadre di spartirsi le metà di un cartellino di un calciatore per la durata massima di due anni. Alla fine di quel periodo, il contratto doveva risolversi necessariamente a favore di una delle due squadre (a meno che una delle due non avesse ceduto ad un club italiano terzo la rispettiva metà) con due possibili soluzioni: le due squadre potevano accordarsi e quindi vendere la propria parte o comprare l’altra metà. Se l’accordo non si trovava, invece, si passava alla fase delle cosiddette ‘buste’. Senza un accordo, le parti dovevano “provvedere a depositare – si leggeva nel regolamento – presso la Lega competente, la propria offerta in busta chiusa, ai fini della definizione del rapporto sulla base dell’offerta più elevata“. In pratica, chi offre di più, ha la proprietà piena del cartellino del calciatore. E se l’offerta è uguale, il calciatore resta nella squadra con cui ha disputato l’ultima stagione. Un accordo a scatola chiusa con un evidente difetto: il calciatore non può più scegliere la destinazione. E di storie poco decorose le comproprietà ne hanno regalate molte.

Nel 2012 Houssine Kharja – con un passato tra Roma e Inter – restò alla Fiorentina poiché né i viola né il Genoa presentarono la busta per la risoluzione dell’affare. Storia simile l’anno precedente con protagonista Daniele Mannini: il Napoli offrì 0, la Sampdoria non si presentò e i partenopei la ‘spuntarono’. Storie di esuberi e indesiderati. Ma non solo. Il 27 giugno del 2005 la Juventus evitò le buste riscattando la comproprietà dalla Fiorentina di un difensore, a quel tempo ancora terzino, promettente: il suo nome è Giorgio Chiellini che oggi indossa la fascia da capitano. L’ultima grande comproprietà riguardò invece Cagliari e Roma: il club giallorosso sfatò l’inserimento della Juventus e il pericolo delle buste trovando l’accordo con i sardi per Radja Nainggolan. Nello stesso anno ad andare alle buste fu Gregoire Defrel di proprietà del Parma fallito e del Cesena. La squadra bianconera avrebbe potuto spuntarla a zero ma decise comunque di presentare una offerta di 51.000 euro da destinare ai dipendenti disoccupati del club ducale.  Perlomeno, quel meccanismo tanto discusso ha saputo congedarsi con una bella storia di solidarietà.

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