La carriera professionistica di Maria Sharapova è stata costellata da successi straordinari, inanellati grazie alle sue capacità tecniche fuori dal comune e alla sua celebre tenacia. Il tennis femminile moderno deve necessariamente fare i conti con una mancanza concreta di icone pure, che vadano oltre i confini del pensabile e costruiscano la propria carriera trionfo dopo trionfo, così come hanno fatto in passato, fra le altre, Steffi Graf e Martina Navrátilová, indimenticabili leggende. La seconda metà degli anni ’00 ha regalato il dualismo fra Serena Williams e la stessa Maria Sharapova, entrambe atlete e campionesse straordinarie, seppur la rivalità sia da considerarsi impari per ovvi motivi: la statunitense è riuscita a prevalere in 20 occasioni, su 22 disponibili. Sarebbe quasi eretico, sportivamente parlando, porre dubbi concreti sulle qualità specifiche della russa, in quanto evidenti anche ad uno sguardo distratto, ma altrettanto inconfutabile è una sua certa fragilità psicologica in determinati eventi, un paradosso per la verve usualmente palesata in campo.
Il torneo Wta Premier Mandatory di Miami funge da esempio perfetto per illustrate le “debolezze” di Sharapova. La tennista siberiana ha sin da subito offerto l’impressione di poter proporre colpi straripanti, che fossero inesorabilmente di complessa gestione per le avversarie, come dimostra la vittoria di Wimbledon ad appena 17 anni. Le innegabili capacità della classe ’87 hanno trovato un grande ostacolo nella sua sensibilità, la quale fin troppe volte è apparsa come inesorabile scoglio per la sua carriera. La competizione statunitense sopra menzionata ha raccontato percorsi eccezionali di Sharapova, molto spesso dominante, ma alle cinque apparizioni all’ultimo atto fra il 2005 ed il 2013 sono corrisposte cinque sconfitte, cocenti ed insolite anche da un punto di vista strettamente statistico. Le opponenti scontrate in finale a Miami nel corso degli anni sono state cronologicamente Kim Clijsters, Svetlana Kuznetsova, Victoria Azarenka, Agnieszka Radwańska e, puntualmente, Serena Williams.
L’insuccesso contro Williams è stato l’ultimo, nel 2013, constatato da Sharapova in territorio americano, e ciò può essere significativo, perlomeno per la caratterizzazione del suo personaggio sportivo. I cinque trionfi Slam e la conquista delle Wta Finals segnalano chiaramente il livello della giocatrice, fra le pioniere del tennis energico e potente degli anni ’10, ma dotata di una classe d’altri tempi. In un certo senso, l’ultima sconfitta della siberiana in Florida ha chiuso un cerchio, portando alla “normalità” un processo costante nel corso della sua carriera. Citando l’intellettuale Vladimir Majakovskij, connazionale dell’atleta in questione: “Se accendono le stelle, vuol dire che forse a qualcuno servono, che è necessario che ogni sera, sopra i tetti, risplenda almeno una stella?“. La domanda è retorica, la risposta è certamente sì: il tennis femminile ha bisogno di icone, campionesse, lottatrici, meravigliose interpreti, stelle! Maria Sharapova è stata, è tutt’ora e sarà sempre una di esse, oscurata però talvolta dalla accecante luce che per natura emana.