La Serie A 1978/1979 la vinse il Milan, almeno questo raccontano gli annali. Ma al pari dei rossoneri, un’altra squadra aveva appena scritto la pagina più importante della propria storia, mai eguagliata anche negli anni a seguire. Stiamo parlando del Perugia dei miracoli, quell’incredibile mix di spensieratezza e talento che riuscì a conquistare un record che per la sua natura non potrà mai essere battuto, ma soltanto eguagliato: il Grifo, in quell’anno, alla quarta stagione in assoluto in massima serie, terminò il campionato senza alcuna sconfitta. Prima squadra a riuscirci, anche l’ultima per la verità nella Serie A a sedici squadre. Trenta partite, undici vittorie e la bellezza di diciannove pareggi. I ragazzi di Castagner riuscirono a chiudere da imbattuti, al secondo posto a quota 41 e dopo una lotta entusiasmante con i rossoneri di Liedholm che staccarono di appena tre punti i biancorossi nella classifica finale. Proprio il Milan, nel 1991/1992, eguagliò con Capello il record del Perugia con zero sconfitte in trentaquattro incontri (Serie A a diciotto squadre), quindi in tempi recenti è toccato alla prima Juventus di Conte, nel 2011/2012 entrare in questa ristrettissima cerchia (unica però nella Serie A a venti squadre). La storia del Perugia dei miracoli, però, non è una favola estemporanea, ma nasce da un oculato lavoro di programmazione che fece di una piccola realtà del calcio italiano un vero e proprio esempio nella seconda metà degli anni settanta.
IL PRESIDENTISSIMO – Uno degli artefici principali di quell’annata da record fu il presidente, o meglio, Il Presidentissimo, Franco D’Attoma, visionario e innovativo in un ruolo che all’epoca (ma anche ora) era spesso ricoperto da chi non ha la giusta sensibilità e il passo coi tempi richiesto. Fu proprio sotto la sua gestione che il Perugia ottenne la prima storica promozione in Serie A nel 1975, proprio con Ilario Castagner, all’epoca tecnico emergente che aveva studiato da vicino le correnti olandesi e provava a fornire una sua interpretazione di quel calcio totale dei tulipani che incantava l’Europa, e a D’Attoma si deve anche l’introduzione degli sponsor sulle maglie dei club e un po’ ovunque: il numero uno degli umbri, infatti, riuscì ad aggirare la norma della Figc che vietava questo tipo di sponsorizzazioni e ammetteva soltanto l’apposizione del marchio tecnico, vale a dire il produttore delle divise. Il Presidentissimo fondò in fretta e furia un maglificio per autoprodurre le maglie, ma diede a esso il nome di un pastificio, che di fatto era lo sponsor scelto per quella stagione: una trovata geniale, una vera e propria beffa per la governance del calcio italiano che fu costretta ad alzare bandiera bianca sul tema, dando il via libera all’introduzione degli sponsor, fattore che probabilmente ai giorni nostri è anche un po’ sfuggito di mano, rendendo alcune divise anche un po’ kitsch. Sua fu anche l’invenzione del prestito nell’ambito del calciomercato, quando convinse il Vicenza, che appena retrocesso nell’estate 1979 doveva rivedere al ribasso le uscite, a prelevare per un anno Paolo Rossi, già campione affermato ben prima del Mondiale 1982, pagando l’ingaggio e versando un conguaglio di 500 milioni di lire.
UN CALCIO “BUONO E RAZIONALE” – Insomma, quel sodalizio D’Attoma-Castagner aveva portato il Perugia in Serie A e le prime tre stagioni erano state decisamente soddisfacenti e chiuse nella metà sinistra della classifica, anche se gli umbri avevano dovuto fare i conti con una tragedia, quella legata alla morte di Renato Curi, giovane e apprezzato calciatore perugino scomparso a causa di un infarto occorso in Perugia-Juventus del 30 ottobre 1977. Lo stadio Comunale di Pian di Massiano, fatto costruire in tempi record proprio dallo storico presidente umbro dopo la promozione in A, fu intitolato subito alla memoria di Curi e nella stagione successiva la squadra trasse da questo dramma quel quid in più per reagire sul campo: il salto di qualità fu incredibile e il Grifo, da innocua provinciale, arrivò addirittura alla vetta della classifica e a sfiorare la vittoria dello scudetto. Un calcio “onestamente buono e razionale”, così lo definì Gianni Brera, uno stile di gioco ispirato come detto al calcio olandese dell’Ajax e degli Oranje, ma con una mentalità tutta italiana dal punto di vista difensiva. Castagner scelse il modulo 4-2-3-1 per esaltare le qualità dei suoi esterni offensivi, Speggiorin con grande feeling col gol e il furetto Salvatore Bagni che garantiva dribbling e cross. La punta, Casarsa, era abile coi piedi e poteva dialogare coi compagni in un gioco offensivo palla a terra rapido e senza troppi fronzoli.
STORIA DI UN RECORD – Fino all’undicesima giornata il Perugia si ritrovò al primo posto della classifica in coabitazione con il Milan: lo scontro diretto dell’andata era terminato 1-1 e ormai in Umbria era sempre più crescente la consapevolezza che si poteva davvero provare a lottare per un inaspettato titolo. Alla diciassettesima giornata, la seconda di ritorno, i biancorossi furono a un passo dal dire addio all’imbattibilità: sotto 0-2 in casa contro l’Inter, Vannini riuscì ad accorciare le distanze, ma si fece espellere per un fallo di reazione e soltanto nell’ultimissimo minuto di recupero, nonostante l’inferiorità numerica, il gol di Ceccarini valse il 2-2 che sapeva quasi di miracolo. L’11 marzo a Bergamo arrivò un successo importante per il Grifo, ma nell’ambito di una partita passata agli annali per il sasso che fu lanciato dagli spalti orobici ai danni del portiere di casa Bodini, che rimase gravemente infortunato. In attesa di indagare sulla vicenda, l’Atalanta chiese la vittoria a tavolino e il risultato rimase sub iudice, ma non emersero evidenze che potessero far pensare a un coinvolgimento del club biancorosso, che conservò i due punti. Nel finale di campionato, però, troppi pareggi minarono il cammino della squadra di Castagner, e così il Milan di Liedholm riuscì a prendere il largo, limitando i danni con un pareggio nello scontro diretto di ritorno, vincendo il campionato con un turno d’anticipo. Nel frattempo, però, il Perugia si era matematicamente qualificato per la Coppa Uefa, un successo già incredibile, ma soprattutto aveva ancora mantenuto la propria verginità dal punto di vista delle sconfitte. Assodato ormai il secondo posto, l’ultima giornata serviva solo per passare alla storia come la prima squadra a terminare la Serie A da imbattuta: il 2-2 col Bologna del 13 maggio 1979 sancì il record, al quale andava aggiunto anche il primato di miglior difesa (16 appena le reti subite). Se è vero che vincere è l’unica cosa che conta dalle parti di Torino, a Perugia quell’anno, quello dei miracoli, gli invincibili di Castagner vinsero pur arrivando secondi. E non è retorica.