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Dribbling su Couto a rientrare sul sinistro, tiro a giro in equilibrio precario e la sfera passa proprio nell’unico corridoio libero che separa il proprio interno piede dall’estrema destra di Peruzzi. Il portiere è battuto e non abbozza nemmeno la parata, la sfera bacia il palo e si insacca. Ed è gol. Ed è l’ultimo gol dell’immensa carriera di uno dei più grandi del nostro calcio, il sipario che cala su Roberto Baggio. Il Divin Codino scelse il suo Rigamonti per segnare, alla penultima giornata del campionato 2003/2004, l’ultima rete, la numero 205 in Serie A, peraltro di pregevole fattura, come tante nel corso di una storia calcistica ricca di soddisfazioni, ma forse non tante quante ne avrebbe meritate un talento del suo calibro. Le zone d’ombra del suo trasferimento dalla Fiorentina alla Juventus, i numerosi e spesso gravi infortuni, il rigore di Usa 1994, il carattere un po’ schivo e da anti-divo hanno fatto forse qualche volta, involontariamente, Baggio venisse un po’ messo da parte nella consueta conta dei campioni assoluti, quando in quegli anni in Italia era montato ormai da tempo il dualismo su chi fosse il più forte tra Del Piero e Totti, entrambi giunti alla piena maturità nella propria carriera. E Baggio era un campione assoluto: e il suo ultimo gol, datato 9 maggio 2004, lo sta a testimoniare.
UN ASSIST DIVINO – Ma ancor prima del gol del 2-0 – la partita, Brescia-Lazio, fu vinta dalle rondinelle di De Biasi ormai salve per 3-0, con i biancocelesti che si giocarono proprio in terra lombarda le ultime chance di Champions – c’è il gol del vantaggio. Lo segna Mauri, alla squadra di cui successivamente diventerà una bandiera, ma a fornire l’assist è Baggio. Ed è qualcosa di sublime: lancio di Guana per lo scatto del Divin Codino che si defila e con un’acrobazia che è arte elevata al quadrato rimette la sfera in mezzo con un colpo d’esterno destro capace di pescare alla perfezione il compagno. Una rifinitura da vero numero 10, la dimostrazione dell’amore incondizionato per Baggio nei confronti di un mondo del calcio che, probabilmente, non gli ha restituito proprio tutto ciò che ha dato in ventidue lunghi anni di carriera.
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BAGGIO FOR DUMMIES – Fin dagli esordi al Vicenza, nel 1982, era ben chiaro che fosse nata una stella. Soltanto la sfortuna poteva mettersi in mezzo e puntualmente lo fece, con un bruttissimo infortunio nell’ultimissimo periodo della sua terza stagione in C1 con la Lanerossi, quando già era tutto fatto per il suo approdo a Firenze. La Fiorentina poteva rescindere il contratto per giusta causa, ma decise di tenere con sé un Baggio che, nel periodo dell’infortunio, perse la fede cristiana e si convertì definitivamente al buddismo. A Firenze esplode definitivamente fino a guadagnarsi Italia ’90 da protagonista, ma è proprio al termine delle Notti Magiche che si consuma il tradimento: Raffaello, com’era già soprannominato, cede all’avances della Juventus e lascia i viola per la cifra record di 25 miliardi di lire più Buso. Il giocatore visse una nuova fase complicata della propria vita, riuscendo a essere odiato dai vecchi tifosi e in parte malvisto dai nuovi, visto che nella conferenza stampa di presentazione, come raccontò il suo procuratore Caliendo, mostrò al mondo del calcio, ancora una volta, tutta la sua genuinità : “Mi ricordo ancora la scena: quando Baggio passò dalla Fiorentina alla Juventus, in conferenza stampa, davanti ai giornalisti gli misero al collo la sciarpa bianconera e lui la gettò via. Fu un gesto imbarazzante. Io dissi che il ragazzo andava compreso: era come se avessero strappato un figlio alla madre. Ammetto che, quella volta, rimasi molto colpito anch’io”. Il rapporto di Baggio con le sciarpe si arricchì nel 1991 quando, tornato al Franchi da avversario, raccolse una sciarpa dei toscani e fece infuriare nuovamente i propri tifosi. I bianconeri, però, si ritrovarono in casa un campione vero, con la c maiuscola. Non riuscì a conquistare la Champions League per un pelo, andando via appena l’anno prima, ma nel suo periodo con la Vecchia Signora arrivò il massimo riconoscimento individuale per un calciatore, il Pallone d’Oro 1993. Come detto, il Divino Codino lascia sul più bello la Juventus e si trasferisce al Milan, dove alla seconda stagione, vissuta tra alti e bassi, ritrova Arrigo Sacchi, che lo guidò nello sfortunato Mondiale 1994 con Baggio protagonista prima nel bene – cinque gol che trascinarono gli azzurri in finale – quindi nel male, sbagliando il rigore decisivo contro il Brasile, episodio per il quale viene a volte ricordato forse più che per le sue magnifiche giocate sul campo. Con il tecnico romagnolo il rapporto non era dei migliori già dai tempi della Nazionale, in rossonero c’è la frattura definitiva che si concretizza quando, dopo un’esclusione eccellente, il trequartista attacca pubblicamente il proprio allenatore. Dopo alcune stagioni non esaltanti tra Bologna e Inter, con ulteriori incomprensioni e litigi con gli allenatori di turno, da Ulivieri a Lippi, il Divin Codino sposa la causa del Brescia nel nuovo millennio. La sfortuna si abbatte ancora su Baggio e una serie di infortuni non gli consentono di rientrare tra le scelte di Trapattoni per il Mondiale 2002, in campionato invece contribuisce anno dopo anno alla salvezza delle rondinelle, con assist e gol a grappoli fino a quel 9 maggio 2004 in cui fornì l’ultima rifinitura e spedì in porta l’ultimo pallone della sua immensa carriera.
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