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“Una partita secca contro la Juventus per assegnare lo scudetto se non si può ripartire”. E’ questa l’idea lanciata da Claudio Lotito per provare a dare un senso alla stagione, chiaramente dal punto di vista della Lazio che si trova al secondo posto della classifica a un punto di distacco dalla Juventus capolista. Parole che per quasi tutto il mondo del calcio, alcuni tifosi biancocelesti compresi, suonano come quelle – gli appassionati della serie non hanno bisogno che si aggiunga altro – degli sceneggiatori di Gli occhi del cuore in Boris, ma che si fondano in parte su un precedente storico del nostro campionato, quello del 1964 in cui sì, lo scudetto venne deciso proprio da uno spareggio tra Bologna e Inter, in una situazione estremamente confusa per via non di una pandemia ma di altre circostanze che resero la primavera di quell’anno davvero bollente. Vale la pena dunque di riportare alla memoria quanto accadde in una delle stagioni di Serie A più intricate ed emozionanti, fermo restando che le differenze con quanto proposto dal numero uno laziale sono innumerevoli e le analogie si fermano di fatto alla sola eventualità di ridurre la conquista del titolo a una sfida secca.
A BOLOGNA SI SOGNA – Superfluo specificare come prima dell’istituzione del girone unico a partire dal 1929 precedentemente il titolo di campione d’Italia veniva deciso – con una continua girandola di cambi di format – proprio tramite uno spareggio. Una modalità per stabilire la squadra vincitrice in caso di parità di punti che però venne mantenuta addirittura fino al 2005, quando si passò all’analisi degli scontri diretti e della differenza reti per decretare le posizioni. Eppure, anche in maniera abbastanza sorprendente dal punto di vista statistico, in settantasei anni soltanto una volta il campionato si decise effettivamente oltre la regular season. La stagione 1963/1964 vedeva l’Inter campione uscente, guidata dal mago Herrera, proporsi ancora una volta come la squadra da battere, con il Milan che invece si era appena laureato campione d’Europa come rivale più accreditata. Tra il 23 novembre e il 2 febbraio, però, un po’ più a sud della città meneghina stava succedendo qualcosa. Il Bologna, compagine di tutto rispetto guidata da Fulvio Bernardini, aveva vinto dieci partite consecutive. Una striscia record che condusse i felsinei addirittura fino alla testa del campionato in solitaria a partire dal 9 febbraio, dopo che per diverse settimane i rossoblu avevano dovuto condividere il primato proprio con l’Inter. Quando tutto va a gonfie vele, ce lo insegna la narrazione di qualsiasi episodio, capita che improvvisamente un fatto possa rovinare tutto.
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LO SCANDALO DOPING – Il 4 marzo 1964 un vero e proprio scandalo sconvolge il calcio italiano. Un comunicato inequivocabile della Figc annuncia che ben cinque giocatori del Bologna erano risultati positivi alle anfetamine in seguito a un controllo antidoping di un mese prima, in occasione del match vinto dai felsinei per 4-1 contro il Torino. Le provette in questione furono sequestrate dalla Procura, la Federazione in attesa di una controprova, punì il club emiliano con un punto di penalizzazione e con la sconfitta a tavolino per la sfida con i granata, per un totale dunque di tre punti in meno in classifica. Il Bologna non si trovava più in testa al campionato in solitaria, in più a fine mese di marzo la squadra, che sosteneva con forza la sua innocenza parlando di una manomissione delle provette, ancora scioccata da quanto accaduto perse per 2-1 lo scontro diretto con l’Inter, scivolando a -3 in classifica e dunque vedendo allontanarsi la possibilità di giocarsi lo scudetto. Nel mese di aprile entrambe le squadre diedero vita a un confronto serrato, ma i nerazzurri potevano vantare proprio quei tre punti di vantaggio sui rivali. A maggio, la svolta: in seguito a ulteriori controlli, si arrivò alla conclusione che le provette furono realmente manomesse per arrecare un danno alla società rossoblu in quel momento inarrestabile sul campo. Le dosi di anfetamine trovate all’interno dei campioni prelevati, infatti, sarebbero state sopportata e fatica non solo dall’uomo (dunque impossibile che i cinque giocatori potessero disputare attività sportiva in quelle condizioni), ma persino per i cavalli. La Figc decise dunque di restituire il punto sottratto in classifica al Bologna e di ripristinare la vittoria contro il Torino, dunque gli emiliani riconquistarono quei tre punti e si riportarono in prima posizione, proprio a pari merito con l’Inter. Un pareggio per parte alla terzultima, quindi due vittorie per entrambe nelle ultime due di campionato, che sancì così il primo spareggio scudetto della storia della Serie A: le due squadre si trovavano a quota 54 punti e serviva per la prima volta una finale secca per assegnare il titolo.
SERVE LO SPAREGGIO – Mentre la procura federale e la giustizia ordinaria proseguivano le indagini sulla manomissione delle provette sostanzialmente con un nulla di fatto (soltanto diversi anni dopo alcuni testimoni accusarono come mandante dell’operazione il direttore tecnico del Milan dell’epoca, Gipo Viani), per la prima volta la Figc doveva applicare il comma del regolamento legato allo spareggio per lo scudetto. Una proposta, abbastanza di parte, del direttore della Gazzetta dello Sport rischiò per alcuni giorni di non far mai disputare quella storica partita: Gualtiero Zanetti propose di assegnare all’Inter – non si sa bene per quali ragioni – lo scudetto 1964, e al Bologna quello del lontano 1927, revocato al Torino per via del caso Allemandi e del derby della Mole truccato per far vincere il titolo ai granata. Dopo alcuni tentennamenti, il presidente della Federcalcio Giuseppe Pasquale stabilì che lo spareggio si doveva giocare. La data individuata fu quella del 7 giugno, la sede il campo neutro dell’Olimpico di Roma, stracolmo di tifosi per quel match elettrizzante e, tutto sommato, da disputare in un’atmosfera di festa.
UNO SCUDETTO PER DALL’ARA – I giorni della vigilia, però, furono drammatici. Appena quattro giorni prima dello spareggio scudetto, il Bologna fu scosso da un’altra vicenda, un lutto insormontabile in un momento come quello. Il presidente Renato Dall’Ara, in carica dagli anni ’30, da tempo sofferente di cuore, era improvvisamente deceduto per via di un infarto nel corso di un meeting con il presidente rivale, Angelo Moratti. La tragedia colpì profondamente la squadra emiliana. Sotto la gestione Dall’Ara i rossoblu avevano conquistato, ormai trent’anni prima, quattro scudetti e avevano ricevuto l’appellativo di “squadrone che tremare il mondo fa”, prima di un periodo di appannamento in seguito alla seconda guerra mondiale. Nel 1961, però, il numero uno del club aveva avuto la brillante idea di ingaggiare Bernardini per ripercorrere le orme di Arpad Weisz e se un destino crudele non lo avesse strappato alla vita, si sarebbe goduto il coronamento di questo sodalizio, l’ultimo scudetto – il settimo – del Bologna. I giocatori, legati alla figura del presidente, non riuscirono nemmeno a partecipare al funerale, perché la Figc fu irremovibile e non acconsentì al rinvio della partita. Con la morte nel cuore, ma con la voglia di dedicare il titolo alla memoria di Dall’Ara, il Bologna dominò lo spareggio scudetto e si impose per 2-0 con l’autogol di Facchetti e il sigillo del capocannoniere Nielsen. Una storia a lieto fine, non ce ne vogliano i tifosi dell’Inter, che appena dieci giorni prima avevano potuto esultare per la prima storica vittoria della Coppa dei Campioni. La storia del primo scudetto assegnato con uno spareggio secco, destinato a restare un unicum nella storia del calcio italiano, proposte grottesche permettendo.
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