Amarcord

L’angolo del ricordo: l’altro harakiri del 5 maggio 2002, il Verona come l’Inter

Stadio Garilli di Piacenza, foto sportpiacenza - sportpiacenza.it, CC BY-SA 4.0

Ei fu. Siccome immobile / Dato il mortal sospiro / Stette la spoglia immemore / Orba di tanto spiro / Così percossa, attonita. (Alessandro Manzoni, Il 5 maggio). La morte di Napoleone Bonaparte, piegato dalla solitudine e dalla malinconia nella sua reclusione a Sant’Elena il 5 maggio 1821. Il dramma sportivo dell’Inter, stroncata dalla Lazio e privata di uno scudetto che sembrava ormai in tasca il 5 maggio 2002, che diventò invece una nuova giornata campale per la Juventus. Nel mezzo, centosettantanove anni che dimostrano, se mai ce ne fosse ulteriore bisogno, quanto certe grandi opere letterarie siano sempre attuali. Il 5 maggio, quello della Serie A, è una data che conoscono bene o male tutti e che ha segnato più di una generazione, tanto da prevaricare nell’immaginario collettivo sulla figura dell’imperatore francese. L’Inter è di scena all’Olimpico, ha bisogno di una vittoria contro la Lazio con scarse chance di qualificazione in Coppa Uefa e peraltro gemellata con i nerazzurri, riesce a perdere 4-2 e in rimonta, mentre a Udine la Juventus fa il suo dovere vincendo 0-2 e si ritrova uno scudetto assurdo nelle mani. Come se non bastasse, fu la Roma a piazzarsi seconda, relegando i milanesi al terzo posto. Se ne è parlato in tutte le salse, da ogni prospettiva, cercando spiegazioni a quello che evidentemente non si può spiegare con eccessiva razionalità. E quella lotta così infuocata per lo scudetto, con un epilogo così inaspettato, fece passare in sordina un altro verdetto che quel 5 maggio 2002 doveva apprestarsi a dare, vale a dire il nome dell’ultima retrocessa in Serie B. 

LONTANO DAI RIFLETTORI – C’è un altro 5 maggio 2002 che non riguardò le zone nobili della classifica, piuttosto il calcio polveroso di provincia, lontano dagli occhi dei riflettori che puntavano, mai come quella volta, sulle tre città per eccellenza del calcio italiano, Torino, Milano e Roma. Piacenza e Verona erano chiamate, in uno scontro diretto sanguinoso, a giocarsi la permanenza in Serie A negli ultimi 90′ infuocati del Garilli, anche se entrambe potevano salvarsi a prescindere qualora il Brescia non fosse riuscito a vincere contro il Bologna (ma ci riuscì). All’andata l’Hellas, guidato da Alberto Malesani, aveva vinto per 1-o e le due squadre si trovavano appaiate a quota 39 punti: gli scaligeri potevano così contare anche sul pareggio per provare a evitare lo spareggio salvezza, visto che gli scontri diretti con le altre squadre che potevano concludere con 40 punti (e che poi lo fecero), Brescia e Udinese, erano nel complesso favorevoli e in sostanza unicamente un arrivo a pari punti con il solo Piacenza avrebbe costretto al playout i gialloblu. Ma il Brescia doveva ospitare il Bologna in piena lotta per il sesto posto, e l’Udinese addirittura la Juventus che si giocava lo scudetto. Insomma, al Verona verosimilmente bastava il pareggio per evitare la retrocessione proprio come all’Inter serviva la vittoria per laurearsi campione d’Italia. Il Piacenza di Walter Novellino, quello composto solo da italiani, dal canto suo si era reso protagonista di una rimonta interessante nelle ultime settimane, mentre l’Hellas, che alla ventunesima giornata vantava 31 punti e navigava in zone serene di classifica con persino qualche ambizione europee. Poi il tracollo, il baratro visto da vicino e l’ultima possibilità offerta dal calendario: uno scontro diretto caldissimo contro gli emiliani per giocare nel massimo campionato anche nella stagione seguente.

NEL SEGNO DI HUBNER – Come detto, al Verona poteva andar bene un segno X, ma gli scaligeri erano la squadra che ne aveva inanellati di meno fin lì. In più, c’era lo spauracchio Dario Hubner, l’indimenticabile bomber di provincia che in quella stagione vinse il titolo di capocannoniere a ex aequo con Trezeguet. 24 gol per l’attaccante triestino, che il 5 maggio doveva chiudere in bellezza un’annata da urlo aiutando il suo Piacenza a salvarsi: per far ciò serviva soltanto la vittoria e i risultati di Brescia e Udinese sarebbero passati in secondo piano. La partita inizia con tutti i crismi dello scontro diretto per la salvezza, squadre impaurite e contratte, azioni alla mano e massima copertura dietro. A sbloccare il match ci pensa capitan Volpi con una punizione meravigliosa nell’ultima partita in biancorosso prima di passare alla Sampdoria. Per il mediano erano ormai lontani i tempi della famosa coppia con Poggi, quella delle figurine introvabili che divennero un caso di stato, e adesso sì che era ben visibile a tutti, soprattutto in campo, per l’ottimo lavoro nelle due fasi in un ruolo delicato come quello del centrocampista centrale. Il vantaggio piacentino spariglia le carte e ci si aspetta una reazione veemente dei veneti nella ripresa, ma dopo appena due minuti dall’inizio del secondo tempo sale in cattedra proprio Hubner e trasforma con freddezza il rigore che vale il raddoppio. Il Garilli esulta, ma da queste parti se ne sono viste tante e soltanto il tris all’84’ fa scatenare la gioia dei tifosi di casa. Hubner ha fatto 24, è capocannoniere, il Piacenza ha raggiunto quota 42 ed è salvo, chiudendo dodicesimo ad appena un punto dai preliminari della Coppa Intertoto prossima alla sua soppressione. Il Verona era in Serie B: per una volta, a prevalere, era stata la cicala e per la formica di turno aver accumulato punti non servì a nulla. E mentre in Emilia succedeva questo, a Roma e Udine si scriveva una storia più importante e forse ancor più inattesa, ma questa la conosciamo tutti e, forse, ci ha dato pure un po’ di noia.

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