Su chi ha portato in Italia per la prima volta la punizione a foglia morta, il dibattito è ancora aperto. Per qualcuno è stato Amadeo Amadei, per l’immaginario collettivo l’identikit risponde al nome di Mario Corso, morto all’età di 78 anni dopo essere stato ricoverato da giorni in ospedale. Ala sinistra dal mancino magico, talento smisurato riconosciuto a livello internazionale con tre candidature al Pallone d’Oro. Una carriera legata al nerazzurro e al rossoblù, quello dell’Inter e quello del Genoa, dove si è trasferito nel 1973 dopo 413 presenze, 75 reti, quattro Scudetti, due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali a Milano. Ma anche un nome legato ad una specifica Grande Inter, quella di Helenio Herrera i cui rapporti con il mancino di Verona furono tutt’altro che idilliaci. Come del resto quelli con la Nazionale. In azzurro non prese mai parte ad una rassegna continentale o mondiale e nel 1966 servì addirittura l’intervento di HH per liberarlo da una polemica col Ct Fabbri. “Mi ha messo in campo per farmi fare una brutta figura”, disse Corso. E Herrera lo difese: “La sua reazione è stata giustificata“. Stile di Herrera, sempre al fianco dei calciatori, al di là del rapporto all’interno dello spogliatoio. “Era il mio preferito della Grande Inter, ma anche mio padre lo adorava, e lui rimase sempre vicino alla nostra famiglia. Tecnica sopraffina, gioco in controtempo, le punizioni cosiddette ‘a foglia morta era un piacere vederlo giocare…“, ha spiegato un commosso Massimo Moratti ai microfoni dell’Ansa. Gli ha fatto eco anche il presidente federale Gabriele Gravina: “Se ne è andato un grande campione, la sua classe, il suo stile e il suo sinistro magico rimarranno per sempre dei simboli straordinari del nostro calcio”.