Quando la Steaua Bucarest partì per Siviglia per giocare la finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona portò con sé il cuoco personale del club per timore di eventuali sabotaggi delle cucine spagnole, diverse bottiglie di vino rumeno perché quello autoctono era troppo caro e Valentin Ceaușescu, figlio del dittatore Nicolae, sempre pronto a sostenere quei calciatori che si preparavano a scrivere la storia, in un modo o nell’altro. Quella finale del Sanchez-Pizjuan la Steaua l’aveva conquistata senza troppe aspirazioni di vittoria finale. Prima un 5-2 complessivo ai danesi del Vejle, poi la rimonta sugli ungheresi dell’Honved, un 1-0 di misura sui finlandesi Kuusysi Lahti e infine un’altra rimonta dall’1-0 al 3-0 contro l’Anderlecht. La Coppa dei Campioni avrebbe cambiato nome e formula con l’introduzione della primordiale fase a gironi solo sette anni più tardi. E quella costellazioni di squadre da ogni parte d’Europa sarebbe man mano sparita nel corso dei turni preliminari lasciando il posto delle competizioni Uefa alle regine dei campionati maggiori d’Europa. La Steaua Bucarest, che oggi non si chiama nemmeno più così, fu la prima squadra a portare la Coppa dei Campioni oltre la cortina di ferro. Poi la Stella Rossa nel 1990-91. E poi l’Europa dell’est tornò ad arrendersi allo strapotere dell’Europa occidentale.
Quando la Steaua scese in campo al Sanchez Pizjuan di Siviglia per contendere il trofeo al Barcellona che quella coppa non l’aveva ancora mai vinta, trovò la formazione blaugrana con elementi come Bernd Schuster che solo due anni dopo sarebbe passato ai rivali del Real Madrid, lo scozzese Steve Archibald e il capitano e Nazionale José Ramón Alexanko che per ironia della sorte avrebbe poi allenato in Romania per diverse stagioni. All’appuntamento più importante della sua storia, la Steaua si presentò con una formazione di eroi che ancora non sapevano di essere tali. In porta Helmuth Duckadam che, al termine della prima finale terminata 0-0, avrebbe parato quattro rigori per la prima volta nella storia. Soprannominato ‘Superman’ persino dai giornali italiani ed ‘Eroe di Siviglia’ da quelli rumeni. Ma anche Victor Pițurcă, in ombra nella finale ma autore nel corso della competizione di cinque gol, come lo juventino Aldo Serena. Pițurcă, che in patria ha segnato 138 gol in 175 partite, tenterà qualche anno più tardi l’esperienza in Francia. Andò male. Come del resto a Marius Lăcătuș che prima di trasferirsi in Italia con la maglia della Fiorentina fu tra i realizzatori dei due rigori decisivi per la vittoria finale di quella Coppa dei Campioni. L’altro, ultimo penalty decisivo, lo calciò Gabi Pelè Balint e il suo nome era legato alla passione del padre per il tre volte campione del mondo brasiliano. Un rigore, l’ultimo, e fu festa davanti ai 60.000 di Siviglia. Oggi quel titolo europeo la Uefa lo riconosce alla Fcsb anche se del vecchio nome e del vecchio stemma non c’è più traccia. Una fine ingloriosa per una squadra che è stata pioniera.