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Rivoluzione e rinascita. Il 12 aprile del 1961 Jurij Gagarin divenne il primo uomo a conquistare lo Spazio. Ma c’è un altro 12 aprile che, a modo suo, è stato simbolo di conquista. Una conquista sportiva, ma pur sempre col suo carico pionieristico. Le Nozze d’Oro dello storico Scudetto del Cagliari si festeggiano il giorno di Pasqua, quasi a ricordarci di quanto quel successo abbia rappresentato l’occasione di rinascita di un popolo che in quel pomeriggio assolato del 12 aprile del 1970 si preparava a festeggiare il primo titolo nazionale del Mezzogiorno, il secondo (dopo quello della Roma del 1942) sotto l’Arno. E se l’emergenza coronavirus ha fermato l’attività sportiva, nulla può contro la memoria degli appassionati. A 50 anni da quel 2-0 al Bari, Cagliari si colora di rossoblù. La città si veste a festa proprio come quel giorno: stendardi, bandiere, sciarpe sui balconi e sulle finestre. A Cagliari la rosa di quello Scudetto è una filastrocca, la si impara da bambini, la si porta con sé a volte anche come spietato metro di giudizio per un presente mai a quel livello. Altri tempi. I tempi dello Stadio Amsicora, intitolato al militare sardo leader della rivolta antiromana. Ribelle, come quella squadra. Ma anche come quegli anni. A cavallo degli anni ’60 e ’70 la Fiorentina di Pesaola (1969) e la Lazio di Maestrelli (1974) scrissero pagine di miracoli sportivi. Forse non è ‘miracolo’ il termine giusto per definire il Cagliari di Manlio Scopigno. Lo chiamavano ‘Il Filosofo’ quel tecnico che non riuscì più a replicare imprese come quello Scudetto. Colpa forse anche dell’immagine di un personaggio unico nel suo genere: la lettura e lo studio della filosofia (appunto) hanno contribuito al dono di uno humor senza precedenti. La sera dello Scudetto alla Domenica Sportiva Enzo Tortora gli chiese: “La definiscono il filosofo, il sornione, l’enigmatico. Insomma Scopigno, lei chi è?“. Risposta: “Uno che in questo momento ha sonno“. Bicchiere in mano, sigaretta in bocca. A Roma non riuscì a reggere la pressione e lasciò dopo sei giornate. Nel corso di uno dei primi allenamenti nella Capitale, per sfogarsi dopo un’arrabbiatura, calciò con forza un pallone in campo e si accasciò. Tutti pensarono ad un malore, invece aveva semplicemente calciato una pesantissima ‘medicine ball’. Quasi un segno del destino per un’avventura che finì prima di entrare nel vivo.
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Un altro segno del destino questa volta di segno opposto in occasione di uno dei suoi primi giorni alla guida del Cagliari. Durante un ritiro prepartita, trovò cinque suoi calciatori in stanza a giocare a poker e a fumare. Si sedette e tra lo sgomento generale dalla sua bocca uscì un semplice “Infastidisco se fumo?“. Tra la coltre di fumo, forse nemmeno distinse le sagome dei giocatori disobbedienti. Ma non è difficile immaginare che nel codice non scritto dello spogliatoio, solo i senatori possono permettersi la coraggiosa magagna di una nottata insonne tra i vizi alla vigilia di una partita. E a quei tempi i senatori del Cagliari non erano calciatori comuni. Nella stagione dello Scudetto il capocannoniere della Serie A fu Gigi Riva, che poi è lo stesso che segnò più di tutti anche nella stagione precedente e in quella prima ancora (66-67). Tre volte capocannoniere di Serie A, come lui solamente Giuseppe Meazza, Aldo Boffi, Gunnar Nordahl (che ne ha vinti addirittura cinque), Roberto Pruzzo, Paolo Pulici, Giuseppe Signori e Michel Platini (e probabilmente Ciro Immobile). Poi Albertosi, Domenghini, Gori, Niccolai, Cera. Tutti volti di un Cagliari magnifico ma anche di una Nazionale che iniziava ad abituarsi alle convocazioni al di là del Tirreno. Brera disse che “Lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia” descrivendolo come “l’evento che sancì l’inserimento definitivo della Sardegna nella storia del costume italiano“. E se dopo cinquant’anni quel pomeriggio assolato dell’Amsicora resta fisso nell’immaginario collettivo di tutto il paese, allora è stato proprio così.
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