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“Silvia andava protetta, le autorità e le istituzioni avrebbero dovuto farlo. Purtroppo così non è stato. Sono state divulgate anche informazioni sensibili che, per motivi di sicurezza, non avrebbero mai dovuto essere di dominio pubblico”. Rula Jebreal, giornalista e attivista per i diritti delle donne, non è particolarmente soddisfatta di come il governo italiano ha gestito il rientro in patria di Silvia Romano, la cooperante rapita in Africa e liberata poche settimane fa: “L’incitamento all’odio e alla violenza sono sintomi di una malattia grave che può prendere nomi diversi: sessismo, razzismo e islamofobia. Silvia rischia di essere oggetto di violenza, è stata minacciata e girerà sotto scorta. Esattamente come viveva in Somalia. Penso tuttavia che questi sentimenti da condannare e da contrastare con assoluta fermezza siano espressione di una sola parte del nostro Paese, perché la maggioranza delle donne e uomini italiani non la pensa così”.
Ha fatto molto discutere la conversione all’Islam della Romano: “Non spetta a nessuno mettere in discussione le scelte personali di una giovane donna. Silvia ha il diritto di elaborare in serenità non solo i suoi traumi ma anche le sue scelte”. E sul senatore che ha definito la giovane come una neoterrorista: “In America sarebbe stato denunciato per discriminazione religiosa”.
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