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Il problema del doping comincia a manifestarsi durante le Olimpiadi di Roma 1960. I Giochi si svolgono nella Capitale dal 25 agosto all’11 settembre. Il ciclista su strada danese Knud Enemark Jensen muore il 26 agosto durante lo svolgimento della 100 chilometri a squadre olimpica: a metà della prova Enemark perde l’equilibrio e cade fratturandosi il cranio. Il ciclista viene trasportato d’urgenza al Sant’Eugenio di Roma, entra in coma e, pur posto in una tenda ad ossigeno, viene dichiarato morto tre ore dopo l’incidente. I risultati dell’autopsia comunicano che la causa della caduta non è una semplice insolazione (come si pensa inizialmente) ma un’intossicazione dovuta all’assunzione di una forte dose di stimolanti via endovena aggravata dallo sforzo fisico compiuto durante la prova. A seguito della morte di Enemark il Comitato Olimpico Internazionale istituisce nel 1967 una commissione medica e dei test per la ricerca di sostanze dopanti alle Olimpiadi invernali di Grenoble e ai Giochi di Città del Messico del 1968.
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Nella storia delle Olimpiadi accanto alle vittorie, alle delusioni e alle polemiche ha trovato spazio purtroppo anche il doping. Diversi i casi eclatanti. Ai Giochi Olimpici di Seul 1988 Carl Lewis arriva secondo nei 100 metri piani preceduto dal canadese Ben Johnson, il quale tre giorni dopo effettua un controllo antidoping dal quale risulta aver assunto degli steroidi: la sua vittoria viene immediatamente cancellata e la medaglia d’oro assegnata a Carl Lewis. A Sydney 2000 l’ex velocista statunitense Marion Jones conquista cinque medaglie (tre d’oro e due di bronzo) diventando una delle più grandi velociste di tutti i tempi. Ma nel 2007 arriva la notizia terribile: dopo essere accusata di fare uso di sostanze dopanti ed essere stata coinvolta nelle indagini sulla casa farmaceutica americana BALCO, Jones ammette di aver assunto sostanze prima, durante e dopo i Giochi di Sydney. Le medaglie vinte sono perciò tutte restituite.
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