Per provare a colmare almeno in piccola parte la mancanza di sport e in particolare delle Olimpiadi che caratterizza questo periodo, racconteremo in questa nuova rubrica una serie di storie legate ai Giochi, che poi sono state adattate, più o meno fedelmente, in un film.
Il primo personaggio è Eric Liddell e i film sono addirittura due, cioè Momenti di gloria, che racconta il suo successo nei giochi olimpici del 1924 e Sulle ali delle aquile, che invece si occupa della sua avventurosa vita negli anni successivi. Entrambi i film hanno in parte romanzato i fatti avvenuti nella sua vera vita, quindi iniziamo da ciò che sappiamo sia successo realmente.
La prima particolarità di Eric, che sarebbe poi stato chiamato “lo scozzese volante” è la nascita, avvenuta in Cina nel 1902, in particolare a Tientsin, oggi una delle più grandi metropoli del mondo, ma già allora importante crocevia per il commercio con l’occidente. I suoi genitori erano due missionari della chiesa protestante, e proprio la fede sarà uno degli elementi più importanti della sua vita. Dopo cinque anni vissuti in Cina, tornò in Europa con il fratello maggiore, mentre il resto della famiglia continuò con l’attività missionaria in oriente. Le doti atletiche del giovane Eric non tardarono a essere notate all’Eltham College, una piccola scuola poco fuori Londra, dove divenne ben presto capitano sia della squadra di cricket che di quella di rugby, oltre a essere conosciuto per l’incredibile velocità nella corsa. A quei tempi era prassi continuare a praticare più sport anche a livello agonistico, ma anno dopo anno la sua carriera sembrava sempre più indirizzata verso il rugby.
Così, iniziata l’università a Edimburgo, diventò uno dei più apprezzati giocatori della squadra locale, e già al secondo anno, nel 1922, arrivò la convocazione della nazionale. Il caso volle che il suo esordio fu proprio nello stadio che un paio d’anni dopo lo avrebbe visto protagonista delle Olimpiadi, lo Stade du Colombes di Parigi, in un incontro valido per il Cinque Nazioni tra Scozia e Francia: le cronache raccontano di una partita giocata nel fango a causa di una fittissima pioggia, e un clamoroso pareggio finale. Finì in pareggio anche la seconda partita, con il Galles, ma la sua prestazione migliore fu in casa, a Edimburgo, contro l’Irlanda. Un fortissimo vento rese impossibili i calci piazzati, e la partita fu decisa proprio da una sua meta, che concluse una rimonta accolta con incredibile entusiasmo dal pubblico dell’Inverleith Stadium. Non giocò l’ultima partita, che la Scozia perse con l’Inghilterra, ma venne confermato in nazionale anche l’anno successivo, quando realizzò una meta per partita, tranne in quella decisiva che ancora una volta l’Inghilterra riuscì a vincere ad Edimburgo.
Man mano che la sua carriera sportiva andava avanti, l’obiettivo di Eric diventava però un altro: partecipare e vincere alle Olimpiadi. Il rugby a 15 a quel tempo era presente alle Olimpiadi, ma si trattava di poco più che un’esibizione con poche squadre (nel 1924 avrebbero partecipato solo Francia, Stati Uniti e Romania), e così iniziò a prendere più sul serio l’atletica. Non ci volle molto per arrivare a grandi risultati e così a fine stagione fece segnare il tempo di 9,7 secondi sulle 100 yard, tempo che rimase record britannico per più di vent’anni.
L’anno successivo si sarebbero svolti gli ottavi giochi olimpici a Parigi, e con quel tempo si presentava con i favori del pronostico: fu celebre una gara durante una sfida tra atleti scozzesi, inglesi e irlandesi in cui cadde, si rialzò, rimontò tutti e vinse a braccia alzate. Nel frattempo Eric portava avanti la sua attività evangelica, tenendo sermoni in diverse chiese della città di Edimburgo. Così, quando all’inizio del 1924 furono definiti i calendari delle Olimpiadi, si trovò davanti a una difficile scelta: per partecipare alle batterie dei 100 metri, la gara in cui sembrava imbattibile, avrebbe dovuto gareggiare di domenica, andando contro ai dettami della sua fede. Quando prese la decisione di rinunciare alla gara, fu bollato come un traditore della patria, ma la sua scelta era quella. Non perse di vista però l’appuntamento olimpico, intensificando i suoi allenamenti sui 200 e provando anche i 400 metri.
La prima gara olimpica fu proprio quella dei 100, ed Eric passò l’intera giornata tenendo sermoni nella chiesa scozzese di Parigi. Fu proprio quell’Harold Abrahams che aveva facilmente battuto ai campionati britannici a vincere l’oro, e i sentimenti di Eric furono a metà tra la felicità per la vittoria di un amico e la rabbia per essere consapevole di aver perso un’occasione forse unica. Eric iniziò quindi le batterie per i 200 metri, ma in quella gara gli americani erano davvero troppo superiori. Si arrivò alla finale con 4 atleti a stelle e strisce, oltre proprio a Liddell e Abrahams. Eric riuscì a strappare con i denti un bronzo, vinto oltre che con il suo grande atletismo, con un indomito carattere che chiedeva un riscatto dopo la delusione data alla sua nazione con la rinuncia per i 100.
L’ultima gara era quella dei 400 metri, che per lui era una specialità nuova, e infatti si presentava con un tempo di oltre un secondo più alto di quello dei più forti atleti americani. Dopo aver passato le batterie facilmente, soffrì già nei quarti, dove corse in 49,3, battuto da diversi atleti tra cui lo svizzero Josef Imbach, che stabilì il record olimpico in 48,0. Già in semifinale però Eric alzò il livello e corse in 48,2 superando proprio Imbach. Peccato però che nell’altra semifinale in tre scesero sotto il record olimpico, con l’americano Horatio Fitch che fece segnare 47,8. Al mattino della finale, un massaggiatore britannico mandò un messaggio a Eric: “Nell’Antico Testamento è scritto: Chi onora me, io onorerò. Ti auguro il miglior successo in ogni occasione”. Liddell si commosse e percepì quel messaggio come il perdono da parte della sua patria dopo la rinuncia ai 100 metri. In gara Eric si trovò nella corsia più esterna, la migliore per poter tenere sotto controllo gli avversari. La sua partenza fu fulminante, passando a metà gara con un tempo di soli 3 decimi più alto di quello fatto segnare nei 200 metri, e gli avversari furono a dir poco sorpresi da questa condotta di gara, che sarebbe potuta essere scriteriata. Imbach e l’americano Taylor caddero nel tentativo di rimontare e nessuno riuscì a rimontarlo, malgrado la sua andatura quasi ciondolante negli ultimi metri: Liddell chiuse in 47,6, nuovo record olimpico ed europeo per una clamorosa medaglia d’oro.
Dopo il trionfo, Eric continuò a correre per qualche mese, ottenendo ancora ottimi riscontri a livello nazionale, pur continuando a non gareggiare di domenica. Nel 1926 però disse basta con lo sport agonistico. Seguendo le orme dei genitori, iniziò un’attività missionaria a oriente: rimase nelle aree più povere della Cina fino al 1943, continuando di tanto in tanto a competere sfidando (e spesso battendo) atleti olimpici locali o giapponesi. Oltre a diffondere il cristianesimo, Liddell divenne anche un punto di riferimento per lo sport, aiutando ad esempio nella progettazione dello stadio di Tianjin, che venne costruito come una copia del suo impianto preferito, quello di Chelsea, e che durò quasi 90 anni.
In Cina Eric si sposò ed ebbe tre figli: allo scoppio della seconda guerra mondiale mandò la famiglia in Canada, preferendo rimanere sul fronte a predicare la pace. Nel 1943 venne internato dai giapponesi in un campo di prigionia in quella che oggi è la città di Weifang: anche lì non smise di professare la sua fede e di organizzare attività che potessero allietare gli altri prigionieri: insegnò religione agli adulti e scienze ai più piccoli e mise in piedi tornei di ogni tipo, dall’hockey agli scacchi. Dopo un accordo tra il Giappone e la Gran Bretagna, venne definito uno scambio di prigionieri, e Liddell venne scelto per il suo passato da grande atleta. Ma al momento della liberazione, Eric cedette il suo posto a una donna incinta. Era un buon uomo, e tutti gli volevano bene nel campo, chiamandolo zio Eric.
Le sue condizioni di salute nei mesi però peggiorarono: con ogni probabilità un tumore al cervello iniziò a limitarne le capacità, fino a un’ultima drammatica lettera scritta alla famiglia il 21 febbraio 1945, in cui raccontava di non essere più in grado di reggere il carico di lavoro e di temere di avere dei disturbi mentali. Morì quello stesso giorno, pochi mesi prima della Liberazione.
Venne sepolto nei pressi del campo, e anche la ricerca del suo corpo avrebbe meritato un film: fu alla fine ritrovato da un ingegnere scozzese, Charles Walker, nel 1989.
Ma i film sulla sua vita sono già almeno due. Il più conosciuto è sicuramente Momenti di gloria, l’esordio alla regia di Hugh Hudson nel 1981. Il film, presentato al festival di Cannes, era una piccola produzione, e fu la grande sorpresa degli Oscar dell’anno successivo, superando per il premio principale i due più grandi successi della stagione, Sul lago dorato e I predatori dell’arca perduta. L’Oscar ancora oggi più ricordato è senza dubbio quello alla colonna sonora, con la scena degli allenamenti in spiaggia scandita dalla musica di Vangelis. Il film si concentra sul rapporto tra Eric e Harold Abrahams nel periodo di preparazione e durante le Olimpiadi. Molti elementi sono romanzati e inesatti: la principale differenza è che nel film Eric scopre del giorno di programmazione dei 100 metri nel momento in cui arriva a Parigi, mentre nella realtà aveva annunciato la decisione di rinunciarvi diversi mesi prima. Inoltre nel film un compagno decide all’ultimo momento di lasciare il suo posto a Liddell per permettergli di gareggiare nei 400 metri, mentre Liddell era regolarmente iscritto e già da settimane si stava allenando per quella gara. Malgrado queste e altre inesattezze, utili a creare maggior drammaticità alla storia, rimane un grande film, oggi forse un po’ invecchiato, ma molto significativo nella cinematografia degli anni 80. Eric era interpretato da Ian Charleson, attore teatrale molto conosciuto in quel periodo (prese parte anche all’Oscar dell’anno successivo, Gandhi), che morì a soli 40 anni per HIV.
Un film meno conosciuto, ma più recente, è invece Sulle ali delle aquile, e racconta la vita di Liddell dopo la vittoria olimpica. Il film si concentra in maniera abbastanza fedele sul periodo di prigionia di Eric, pur affiancandogli una serie di personaggi di cui in realtà non è stata mai confermata l’esistenza. È una pellicola dura nel racconto, forse con qualche stereotipo di troppo ma interessante per concludere la storia iniziata con Momenti di gloria. Qui Eric è interpretato da Joseph Fiennes, il protagonista di Shakespeare in Love e oggi della serie tv The Handmaid’s Tale.