Nella sede operativa di Athletica Vaticana a Trastevere si è tenuto il primo “sinodo dello sport”, un dialogo con atleti olimpici, paralimpici e rifugiati che hanno condiviso le proprie esperienze. Un incontro che si è inserito in quel “percorso sinodale”, di comunione e condivisione, che Papa Francesco ha chiesto alla Chiesa. Il primo a prendere la parola è stato Rigivan Ganeshamoorthy, oro nel lancio del disco alle Paralimpiadi di Parigi 2024: “Ho conosciuto lo sport quando sono diventato disabile. È stata una rinascita, è questo il termine giusto. Gli amici sono stati molto importanti nel percorso, mi hanno sempre dato il giusto sostegno”. A raccontare la propria esperienza era presente anche Andy Diaz: “Quando sono arrivato in Italia non avevo un posto dove andare. Ho chiamato Fabrizio Donato, quando mi ha accolto ho pianto perché non tutti si fidano di una persona così, dal nulla. Ho trovato una famiglia, ho sentito l’opportunità di continuare a fare quello che volevo fare”.
Un’altra campionessa coinvolta nell’incontro è Antonella Palmisano, oro nella marcia 20 km a Tokyo: “Ho scelto lo sport perché volevo avere la mia libertà . Nel mio paesino vedevo un destino già segnato, ma volevo essere una persona diversa. Affacciandomi alla marcia ho visto un’alternativa”. Una storia per certi versi simile è quella di Alice Mangione, argento europeo nella staffetta mista 4×400: “Ho iniziato dalle gare scolastiche, non esistendo strutture ho iniziato ad allenarmi in strada. Dopo le medie mi sono trasferita a Palermo, nel 2019 mi sono trasferita a Roma perché volevo migliorarmi ancora di più. A Parigi sono anche riuscita a qualificarmi per la gara individuale. La staffetta mi piace perché è condivisione della fatica”. Presente anche Monica Contrafatto, protagonista della rocambolesca finale dei 100 metri a Parigi 2024 in cui ha vinto il bronzo dopo essere inciampata su Ambra Sabatini: “Mi è dispiaciuto più per Ambra che per me. Quest’anno è andato tutto benissimo, ero in formissima. Mi aspettavo di meglio, ma mi sono salvata in calcio d’angolo”.
All’evento hanno partecipato anche due atleti del team dei rifugiati, Amelio Castro Grueso e Mahdia Sharifi. “Per me la sofferenza è stata un’insegnante. Sono un privilegiato perché ho avuto la possibilità di soffrire tanto e quindi di imparare tanto”, le parole di Amelio. “Vivo in Italia da tre anni – ha invece spiegato Mahdia, fuggita dall’Afghanistan dopo l’instaurazione del regime talebano -. Inizialmente non sapevo nemmeno io come ho trovato il coraggio di fare quello che ho fatto. Posso dire che lo sport per me è stato un miracolo che mi ha salvato l’anima”.