DALL’INVIATO A LINZ, MICHELE GALOPPINI
Non solo tennis giocato al Generali Ladies Linz, torneo WTA International in corso alla Tips Arena di Linz. Oggi, gradito ospite è stato Nick Bollettieri, un genio del tennis che da 60 anni rappresenta una delle maggiori figure (se non la maggiore) per quanto riguarda il tennis allenato. Il boss della IMG Nick Bollettieri Tennis Academy, che ha formato numerosi numeri 1 al mondo e tantissimi campioni, si è raccontato in una lunga ed intensa conferenza stampa, ricca di spunti interessanti e preziosi consigli. Il nostro inviato a Linz ci racconta i passaggi chiave della chiacchierata con Bollettieri.
Innanzitutto Nick, ci dia una valutazione su cosa sta succedendo qui a Linz proprio ora, visto che era sugli spalti ad assistere.
Abbiamo proprio ora sul campo centrale Madison Keys ed Oceane Dodin, due ragazze che colpiscono davvero forte. Credo che a vincere sarà la Keys [giusta previsione, ndr] perché molto più preparata atleticamente, ma a prescindere questo ci dice come è evoluto il tennis ai giorni nostri. È impensabile anche solo immaginare che anni fa qualcuno potesse colpire la palla con tanta veemenza perfino su un campo non eccessivamente veloce come quello di Linz.
Si è parlato nell’ultimo periodo di alcuni cambiamenti che potrebbero essere introdotti a livello WTA. Addirittura si è parlato di abolire i vantaggi nei game o di un super tie-break nel terzo set. Lei cosa ne pensa?
Partiamo innanzitutto dal capitolo slam: le tenniste lavorano estremamente sodo per arrivare a giocare uno slam e sarebbe un’ingiustizia togliere loro tempo sul campo con un cambio regolamentare. A livello slam non cambierei nulla, nemmeno il 3 su 5 set per gli uomini. Negli altri tornei il discorso può cambiare, si sta pensando di rendere i match un po’ più veloci. Lo svantaggio più grande, che è anche un’ingiustizia, è che si penalizzerebbero quelle giocatrici che sono fisicamente superiori e meglio allenate e che hanno lavorato duramente per essere superiori alle loro avversarie. Capisco le necessità televisive, ma pesando vantaggi e svantaggi al momento io non farei cambio.
Cosa ne pensa di alcuni nuovi giovani che stanno arrivando prepotentemente nei piani alti della classifica ATP, come ad esempio Dominic Thiem?
Thiem è un tennista eccellente, dotato di grande talento. Ma ricordatevi che il talento da solo non è più sufficiente. Ogni tennista deve ricordarsi che l’eccellenza deve essere costante. Non basta far dire ‘wow’ per un colpo o per un match, bisogna far dire ‘wow’ ogni giorno della propria carriera. Essere bravi presenta il conto: bisogna essere bravi ogni giorno, e questo non vale solo nel tennis ma anche nella vita.
E allo stesso modo, la pura potenza non porta da nessuna parte. Certo, se la pallina ti entra in campo è andata bene, oppure puoi tirare 20 ace a partita, ma non ti porteranno da nessuna parte se non li fai nei momenti giusti della partita, come faceva Sampras. E oltre a colpire forte devi anche saper colpire: fa una certa differenza, la differenza tra l’eccellenza ed il “piuttosto bene”.
Ci sono differenze tra la vecchia “scuola” di allenatori ed i coach attuali?
Oggi non si parla nemmeno più di ‘coach’, oggi bisogna parlare di ‘team’! Il gioco oggi si combina di 4 elementi: la tecnica, il fisico, la testa ed il team. Da soli non ce la si fa nel 2016.
E la sua chiave per essere buoni coach qual è?
Posso fare molti esempi di campioni con cui ho lavorato nel passato. Mi hanno definito un genio perché sto vicino ai miei allievi, analizzo e do una manciata di semplici ed importanti indicazioni. Basta. Tanti coach oggi sono un blah blah blah unico, non serve a nulla. Inoltre, ogni atleta necessita una preparazione completamente diversa ed ogni bravo allenatore deve partire da tutto ciò che è il background del suo allievo, dalla famiglia ai suoi punti forti, dalla personalità ai punti deboli. Ogni bravo allenatore deve capire come parlare, se usare parole ferme o parole gentili. Deve insegnare ad essere dei vincenti, anche quando lo score dice che hai perso, deve portare sempre il massimo rispetto, soprattutto in pubblico. Non basta insegnare come colpire una pallina, bisogna capire tutte le idiosincrasie di una persona. Coach lo si è 24 ore su 24, non per l’ora in cui si è pagati ad insegnare. L’insegnante non è un coach. Quando ero io stesso a fare da coach ero immerso nel mio ruolo per 36 settimane all’anno, almeno. Sono passato attraverso almeno 4 matrimoni in quel periodo, ed ora sono ben all’ottavo [risata]. La gente mi chiede cosa mi porta a lavorare ancora ad 85 anni: provate voi a pagare 8 mogli senza lavorare [risata].
E bisogna lavorare costantemente puntando non solo sui punti forti, ma soprattutto su quelli deboli o non si evolve. Ricordo Mary Pierce, che mi scrisse una lettera chiedendomi di poter nuovamente lavorare con me. La mattina dopo venne da me con le lacrime agli occhi, chiedendomi perché le avessi detto che avremmo dovuto lavorare molto poiché era grassa. Beh, ‘ma tu sei grassa!’ le ho detto. Lavorammo per mesi fisicamente e mentalmente per 8 ore al giorno: vinse subito dopo gli Australian Open. Avrei potuto dirglielo più gentilmente che era sovrappeso? Cavolate, era grassa e bisognava affrontarlo.
Un altro caso può essere Monica Seles: ricordo che la vidi per la prima volta, per caso, all’Orange Bowl. Sentii questa minuta ragazzina che continuava ad urlare ‘iiiii’ ad ogni colpo, la vidi giocare ogni dritto ed ogni rovescio a due mani. Mi piacque subito, diedi a lei una borsa di studio, una alla madre, una al fratello. Se avessi cercato di cambiarla, se l’avessi convinta a giocare più lontana dalla riga di fondo, non sarebbe diventata nessuno. Era una giocatrice lontanissima dall’essere un’atleta, ma come coach capii come avrei potuto renderla grande: facendole colpire la pallina con grande anticipo e sempre in maniera aggressiva, per comandare gli scambi. È sempre stata una lavoratrice pazzesca: ‘Nick, altra pallina’, ‘Nick, altra pallina’, e così passò un mese, poi un anno, poi una moglie e lei era ancora ‘Nick, altra pallina’… e poi un’altra moglie [risata]. Tanti coach l’avrebbero cambiata, io invece l’ho resa una numero 1.
Come si spiega il crollo dei risultati dei ragazzi americani, dopo le imprese di Agassi, Sampras e Roddick?
È semplicissimo. Negli anni 70 e negli anni 80 io ho dato una marea di borse di studio a tanti ottimi giocatori. Poi nel 1987 ricevetti una chiamata dal mio commercialista: ‘sei in bancarotta’. ‘Come in bancarotta, ho tutti i migliori giocatori qui!’: vero, ma appunto davo loro borse di studio. Al giorno d’oggi invece se si vuole prenotare un campo da tennis a New York bisogna svenarsi ed i grandi atleti si spostano su altri sport. Per fortuna negli ultimi anni la USTA ha cambiato rotta. Basti pensare che se un giovane vuole farsi un anno di tornei con un coach, il costo è di $150.000, quando il salario annuale medio in America è di $53.000. Come può qualcuno giocare a tennis, dove li prendi i soldi?! Grazie alla USTA le cose sono cambiate, ora di giovani statunitensi molto forti ce ne sono molti, ma il problema persiste a livello internazionale, è un problema che vale per tutti. Al momento ad esempio bisogna essere almeno 70-80 al mondo per sopravvivere bene, pagando anche un coach. Nemmeno gli sponsor danno più tanto.
Molte persone dicono che il livello della WTA e del tennis femminile sia molto più basso rispetto al passato, perché mancano delle vere leader e perché Serena non starà ancora per molto nel circuito. Lei cosa ne pensa?
Il tennis femminile è pieno di immensi talenti. Il livello della WTA è alto perché si è alzato e di molto il livello di coloro che stanno dietro in classifica. Una volta c’erano le migliori al mondo, cinque o sei, che per due o tre turni passeggiavano negli slam, non erano minimamente minacciate. Oggi non è così, bisogna sudare contro tutte, tutte vogliono essere forti, tutte vogliono una piccola fetta di fama e sono molto brave perciò possono anche riuscirci. Di talento ce n’è tanto ed è ben spalmato in tante giocatrici.
Di Serena Williams e Maria Sharapova però è difficile possano essercene tante. Maria ad esempio è una tosta, è una stronza in senso buono, e quello che l’ha resa una giocatrice immensa (e sottolineo giocatrice, non atleta) è la sua combattività immensa. Può essere 0-6 0-5 0-40 e nella sua testa ancora non ha perso, non ha mai ‘perso da se stessa’. È troppo forte di testa. I campioni si giudicano proprio in momenti come quello che sta passando la Sharapova: dalla loro capacità di reagire ai momenti più difficile e tornare più forti di prima, all’interno di un match o di una stagione. È arrivata da me a 9 anni e non ha mai smesso di lavorare, è sempre stata rispettosa ed ha tantissimi pregi, ma se vorrà tornare in alto dopo la sospensione per doping dovrà aver lavorato al meglio sui movimenti e sul fisico. Gli scambi lunghi sono sempre stati e saranno sempre il suo punto debole. Ma spero torni in alto, è un personaggio molto importante.
Anche per questo la mia accademia è tosta, probante: uno psicologo dello sport mi definì un pazzo, perché secondo il suo parere picchiavo i miei studenti, non gli davo abbastanza cibo, gli facevo lavare la mia macchina… beh quest’ultima cosa è vera [risata]. Sono pazzo? Sì! Bisogna essere pazzi, perché i pazzi vogliono realizzare cose impossibili, a volte riuscendoci; le persone normali fanno solo ciò i cui risultati sono sicuri.
Ci dia una sua visione del circuito ATP invece e della lotta tra Djokovic e Murray per la prima posizione del ranking.
Innanzitutto voglio sottolineare come per arrivare là in alto sia necessario essere degli animali, dei lavoratori senza sosta. Vi sfido a controllare l’off-season di Djokovic e Murray, sono letteralmente degli animali. E per questi due campioni immensi ci sono tantissimi giovani di grande talento e grande tennis che stanno arrivando, che magari devono migliorare fisicamente o mentalmente, come ad esempio Dimitrov in questo secondo caso o Raonic che nonostante tutti gli ace che fa non è ancora vicino alla testa della classifica. Eppure, al momento, non vedo nessuno che può anche solo avvicinarsi tennisticamente a Djokovic: a mio parere lui è il giocatore ‘più perfetto’ che io abbia mai visto in 60 anni di insegnamenti. Perché? Non ha alcuna debolezza, fisicamente, mentalmente o tennisticamente. Più di Roger Federer. Roger è un dono di dio, è quel giocatore che tutti vorrebbero allenare (peraltro è quello, tra quelli che non ho allenato, che più di tutti avrei voluto allenare), ma il suo tennis ha dovuto aggiustarsi, modificarsi. Come ancora dovrà modificarsi per vincere un altro slam: dovrà correre a rete come mai non ha fatto in tutta la sua carriera; e spero possa riuscirci, il tennis ha bisogno di vedere Roger vincere ancora una volta. E poi c’è Nadal. Un giocatore con quell’impugnatura, con una racchetta così leggera, è incredibile cosa abbia vinto, pagando però a caro prezzo fisicamente a causa del suo stile. Un tennis violento, a volte strappato, ma che grande campione è stato.
Per lui non sarà facile tornare in alto per un motivo molto semplice, che vale per tutti i campioni: quando gli avversari perdono la paura di affrontarti, sei nei guai. È una paura che non è del campione invece, non puoi avere paura del favorito di una partita, è lui che deve avere paura di te, della tua voglia di fargli le scarpe, è lui che ha tutto da perdere… tu, da sfavorito, non hai assolutamente niente da perdere.
Chi è il suo tennista preferito?
Andre Agassi: ruppe tutti gli schemi, tutte le regole, dal look al suo tennis. Ma lo sapevo, qualcosa me lo disse in testa, che lui sarebbe stato il migliore.