“E’ stato amore a prima vista, al contrario di tutti gli altri sport che mia madre mi ha fatto praticare. Ho fatto tutto: tennis, pattinaggio, ginnastica artistica. Ma c’era sempre qualcosa che mancava. Poi sono arrivati i tuffi…”. Esordisce così Maria Marconi, tuffatrice italiana già qualificata per i Giochi di Rio 2016 nell’intervista concessa ai microfoni di Sportface.it. Una famiglia accomunata dall’amore per il trampolino: anche i fratelli Nicola e Tommaso, infatti, praticano lo stesso sport. “Per fortuna nessuna rivalità con i miei fratelli, anzi il fatto di aver fatto tante gare con loro mi ha aiutato. Anche adesso mi incitano, mi aiutano; spesso mi capita di allenarmi anche con Nicola e mi trovo molto bene”. L’acqua nel DNA, una passione trasmessa di fratello in sorella anche se, come tutte le storie che si rispettano, quella della Marconi verso il mondo dei tuffi ha rischiato di vacillare. “C’è stato un momento in cui avevo quasi deciso di smettere. Ero adolescente, poi verso i 17-18 anni ho dato un valore ai risultati che stavo ottenendo, ho realizzato che girare il mondo come facevo io non era una cosa che potevano fare tutti e ho capito in quel momento che questo sarebbe stato il mio sport, la mia vita”.
GIOIE E DOLORI – Un mondo particolare quello dei tuffatori: anni di preparazione per pochi secondi di esibizione, tutto deve essere eseguito alla perfezione, nessun margine di errore davanti ai giudici, pronti a punire la minima imperfezione. Lo sa bene Maria Marconi, atleta oggi rappresentata dalla LGS SportLab, rimasta fuori dal podio troppo spesso per un’inezia. Quarta ai Mondiali nel 2011, a Pechino, superata da Tania Cagnotto all’ultimo tuffo, quarta anche agli Europei di Rostock, nel 2013, ma quella che fa più male è Berlino, nel 2014, ancora agli Europei. “L’Olimpiade di Pechino 2008? E’ stato un putiferio. Poco tempo prima mi ero rotta il piede e questo mi ha portato a pensare che quel risultato, anche se non era il top, potesse andare bene. Tutte le altre volte, invece, mi hanno lasciato un po’ di rammarico, soprattutto Berlino 2014 dove speravo in un riscatto da 3 metri e invece mi ero spenta. Il fatto di essere arrivata ancora una volta quarta da 1 metro mi aveva lasciato un vuoto dentro che non mi ha aiutato a risollevarmi. Tutti gli altri quarti posti li mettiamo nella sacca dell’esperienza e vediamo se questo accumularsi mi spingerà ad arrivare a un piazzamento migliore”. Non solo cucchiai di legno, però, nella sua carriera. Non si diventa una delle stelle del panorama italiano a suon di quarti posti. Nel suo palmarès anche la storica doppietta azzurra da 1 metro agli Europei di Torino del 2009, argento dietro alla Cagnotto, e i due bronzi nel trampolino, sempre da 1 metro a Budapest, nel 2006, e quello nel sincro da 3 metri insieme a Tania Cagnotto agli Europei di Berlino del 2002. Inevitabile parlare del rapporto con l’altra azzurra dei tuffi. “Poteva esserci una rivalità, in gara, quando eravamo più piccole, ma non oggi. Io posso solo fare i complimenti a Tania per la sua costanza, la tenacia e tutto ciò che l’ha portata a essere quella che è. Sono stata la prima a complimentarmi con lei. Siamo amiche, di rivali ne abbiamo talmente tante che non sarebbe opportuno”. Con il prossimo ritiro della Cagnotto le luci delle ribalta potrebbero accendersi definitivamente su di lei, ma la tuffatrice romana non vuole pensarci. “Con il mio allenatore ci prendiamo in giro su questo. Credo che l’anno prossimo lo prenderò come un gioco, senza aspettarmi nulla. Non credo però di continuare per altri 4 anni perché comincio a sentire tanto la fatica, lo stress mentale e io, forse più di altre, l’ho sempre vissuto male”. Rivali che non hanno nessuna intenzione di mollare lo scettro, le cinesi in particolare, anche se negli ultimi anni qualcosa sta cambiando. “La Cina prima era imbattibile, la scuola cinese dominava. Hanno un altro modo di prepararsi: hanno delle strutture, senza nulla togliere a noi, all’avanguardia e i tuffi sono lo sport nazionale, come da noi il calcio. Poi le altre nazioni hanno cominciato a chiamare gli allenatori cinesi: Messico, Inghilterra, Australia. Adesso, infatti, sono cresciuti molto e hanno dei ritmi incredibili. Nel femminile si vede di meno, ma anche a livello maschile cominciano ad essere alla pari, la Cina comincia a perdere colpi e a sentire la pressione degli altri atleti“.
ROAD TO RIO – L’Olimpiade alle porte, Rio 2016 potrebbe rappresentare il punto più alto nella carriera della Marconi. “Io sono seguita da uno psicologo, ora molto meno di prima. Ci chiamiamo prima delle gare, ma ormai tutti gli atleti sono seguiti da un mental coach. All’inizio della mia carriera era vista male questa cosa, poi è cambiato. Ora tutti gli atleti ne hanno uno: la squadra canadese, ad esempio, lo aveva con sé alla Coppa del Mondo”. Una maturità acquisita, i fantasmi del passato sono ormai alle spalle. Nessun obiettivo, che centrarli è sempre meglio che dichiararli, ma una speranza da coltivare. “Mi piace vivere giorno per giorno. Il mio obiettivo è quello di iniziare e finire l’anno nel miglior modo possibile. Tante volte mi sono giocata le gare perché volevo troppo da me stessa, adesso voglio fare la mia gara serena, poi vedremo quello che arriverà. Non punto alla medaglia, vediamo quello che succederà”. Prima delle kermesse brasiliana, però, c’è un altro appuntamento da non fallire: gli Europei di Londra, da disputare a maggio, proprio la competizione in cui l’italiana ha colto i suoi maggiori successi e le sue sue più grandi delusioni. Odi et amo, ma questa potrebbe essere la volta buona, come dichiara la diretta interessata. “Essendo finita adesso la Coppa del Mondo, mi sto rilassando; avevo accumulato tanta adrenalina. Dalla prossima settimana cominceremo a metterci sotto perché avremo anche gli Europei a Londra, a maggio. Spero possa essere la volta buona per portare a casa il bottino. Che sia di qualsiasi materiale, basta che non sia legno”.
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