Il clima non cambia mai: il Sei Nazioni di rugby raccoglie le tifoserie più colorate e folli d’Europa. Nel giorno di San Valentino si affrontano Italia e Inghilterra, reduci l’una da una sconfitta maturata per una manciata di punti a Parigi, e l’altra da una vittoria contenuta a Edinburgo. All’Olimpico finisce con una netta vittoria degli inglesi, 9-40.
Brunel deve fare a meno di un paio di esordienti che settimana scorsa hanno ben figurato nella gara di esordio del torneo contro la Francia, contro gli inglesi torna titolare Luke Mclean, al posto dell’infortunato Odiete, nel triangolo arretrato Leonardo Sarto e Mattia Bellini, primo e secondo centro Garcia e Campagnaro. Nella mediana confermati Gori e Canna, poliziotto beneventano che Eddie Jones, tecnico della squadra di Sua Maestà, ha comparato (nientepopòdimenoche) a Stephen Larkham, apertura australiana campione del mondo nel 1999. In prima linea Cittadini, Gega e Lovotti, pronti a spingerli in mischia le seconde linee Biagi e Fuser, flanker Minto e Zanni, a condurre la squadra in campo il capitano Sergio Parisse, accolto dal boato dello stadio.
God Save the Queen cantato a squarciagola da tutto lo stadio lascia capire la mole di tifosi inglesi che si sono catapultati a Roma per un week-end tutto italiano, e chissà se hanno sfruttato l’iniziativa del MIBAC, che consente l’accesso gratuito ai musei romani per i possessori di biglietto della partita. Nota di colore: forte la presenza della Marina Militare in termini di sponsorizzazione: Elicottero militare che sorvola lo stadio, banda musicale diretta dal Maestro Barbagallo, momento di ricordo per i “nostri Marò” e slogan che incitano ad arruolarsi, con un JOIN THE NAVY (che ricorda il comico “YVAN EHT NIOJ” di simpsoniana memoria).
Pronti-via, mischia per gli inglesi appena fuori dai ventidue, con l’arbitro, il neozelandese Glen Jackson, che fatica a trovare le misure dei due pacchetti. Gli inglesi tengono palla per un paio di minuti, sventagliando a destra e a sinistra senza trovare falle difensive negli azzurri, al punto di farsi intercettare l’ovale e tornare quaranta metri dietro. L’Italia in questi primi minuti gioca, attacca, fissa la difesa e guadagna metri. Gli inglesi sono schiacciati nei propri ventidue. Al nono minuto Carlo Canna capitalizza un calcio di punizione, gli azzurri si portano in vantaggio per 3 a 0.
Alla ripresa del gioco una nuova mischia per gli inglesi, che travolgono i pari ruolo azzurri e guadagnano una punizione: Owen Farrel non sbaglia e riporta le squadre in parità. Al 14’ paura all’Olimpico: intuizione di George Ford e scorribanda inglese nei ventidue, conclusa con una mischia in favore degli azzurri. Brunel intanto è costretto alla temporanea: fuori Fuser e dentro Bernabò. Gli inglesi provano a prendere in mano la partita, cercando di fissare la difesa azzurra per poi giocare fuori: niente di nuovo sotto il sole, ma la tattica paga, punizione e tre punti messi in cascina da Ford (Farrel è appena uscito per Alex Goode – temporanea). Risponde per le rime Carlo Canna: sei pari al 19’. La prima meta dell’incontro è frutto della pressione inglese, cresciuta sensibilmente dopo una fase di sostanziale equilibrio, a marcare sulla bandierina George Ford, che prende il palo sulla trasformazione. 6-11 il punteggio. Al trentesimo esordio assoluto per Abraham Steyn, flanker nato in sudafrica, che rileva Zanni. Al 33’ fuori Garcia dentro Pratichetti. La partita non perde velocità nel finale della prima frazione di gara, Parisse riparte da una mischia azzurra e imposta l’azione offensiva dei padroni di casa, che vanno in percussione per quattro fasi prima di guadagnare una punizione in zona centrale, il solito Canna realizza e accorcia: 9-11. La difesa azzurra regge, nel finale di primo tempo, la spinta inglese, le due squadre vanno a riposo con due punti di differenza.
Il secondo tempo inizia con uno scambio di calci insistito, con cui le due squadre cercano di trovare gli avversari fuori posizione. al quarantanovesimo sbavatura difensiva inglese su rolling maul azzurra, questa volta Canna fallisce la realizzazione. Al cinquantatreesimo follia difensiva azzurra, che premia un’Inghilterra fino ad ora ben poco incisiva: rimessa laterale giocata veloce da Canna per Bellini, l’ala padovana sceglie di andare in mezzo alla difesa inglese invece di calciare, salvo poi liberare il pallone una volta entrato tra le maglie bianche: intercetto e meta in mezzo ai pali, 18 punti Inghilterra, 9 per l’Italia. L’Italia crolla psicologicamente: maul inglese, ripartenza con calcio basso di Ben Youngs e meta di Joseph, nove a venticinque il parziale. A questo punto Brunel metten in campo Castrogiovanni per Cittadini e Padovani (esordiente) per Canna, che fino alla sua sostituzione è stato il migliore in campo per gli azzurri. Al 63’ ancora un piazzato inglese, questa volta Farrell, che allunga ulteriormente il gap.
La freschezza dei subentrati (c’è spazio anche per Zanusso) genera nuova linfa per gli azzurri, che adesso sembrano giocare più che altro per orgoglio personale. L’azione insistita che infiamma l’Olimpico (pick and go intorno al raggruppamento sui cinque metri avversari) termina con un nulla di fatto. Idem qualche minuto dopo: otto fasi di possesso nei ventidue avversari, gli azzurri vanificano tutto con un “tenuto a terra”. È in questo clima di inconsistenza azzurra che emerge il cinismo inglese: i bianchi di Jones vanno in meta ancora una volta con Jonathan Joseph al 71’ e con Owen Farrell (dopo uno spettacolare riciclo di Jamie George) al 75’, nove a quaranta. L’inghilterra non la smette di attaccare, sostenuta dal continuo sweet Lord, sweet chariot cantato a squarciagola dai tifosi ospiti. Il finale di gara è controllato serenamente da Hartley e compagni, gli inglesi sono venuti a Roma per “distruggere” gli azzurri, come dichiarato da Jones in settimana, e lo hanno fatto nel secondo tempo, senza troppe remore. L’Italia è la pallida copia di quella vista a Parigi con la Francia, l’inesperienza dei giovani è stata più forte del oro entusiasmo. Nove a quaranta il finale.