Una lunga agonia, un calvario senza fine, una montagna di spese. Curare Michael Schumacher costerebbe 10,2 milioni all’anno, circa 191.000 euro a settimana secondo quanto rivela la stampa inglese. Una cifra mostruosa che pochissime persone al mondo sono in grado di sostenere: la famiglia ce la fa grazie ai guadagni accumulati dall’ex ferrarista. Neurologo dedicato, fisioterapisti 24h, personale di assistenza (tutti firmatari di un accordo di riservatezza), stanza attrezzata con macchinari all’avanguardia, uomini della sicurezza, hanno sì un prezzo salatissimo, ma il vero dramma è un altro: i progressi sarebbero lentissimi e insoddisfacenti. La moglie Corinna ha alzato un muro intorno alle reali condizioni del marito Michael e non è mai venuta meno a quella decisione.
La vita di Schumacher è cambiata il 29 dicembre 2013 e ha trascinato con sé quella di Corinna e dei due figli, Gina Maria e Mick jr. Solo gli amici più stretti sanno la verità, Luca Cordero di Montezemolo, pochi giorni fa, si limitò a dire: “Purtroppo non ho buone notizie”. Lapidario, telegrafico, devastante: se con tante attenzioni Schumi non è migliorato sensibilmente significa che quel maledetto incidente sugli sci è stato il suo ultimo giorno da uomo consapevole. Era un bel mattino, il 29 dicembre, sulle nevi di Meribel, si trattava di fare una discesa insieme agli amici e al figlio e poi riposarsi nella villa lì vicino. Invece un taglio di pista – dove non era consentito – lo ha catapultato su una roccia e su un’altra. Cade di testa e una vite della telecamera GoPro, che aveva montato sul caschetto, ha penetrato il cranio. I soccorsi furono veloci ma non abbastanza: in elicottero era cosciente, sottovalutarono la gravità del trauma cranico e si perse tempo. Arrivò alla clinica di Grenoble con qualche ora di ritardo. Fu operato d’urgenza per degli ematomi che premevano soprattutto sull’emisfero sinistro, ma due giorni dopo, di notte, venne sottoposto a un secondo intervento. La prognosi era riservata e fu tenuto in coma farmacologico per sei mesi. Avvoltoi e ladri di vite altrui il 6 febbraio dichiararono la morte, il 12 febbraio, il tabloid Bild rivelò la complicanza di una polmonite (confermata, ma risolta), il 17 febbraio la Procura di Albertville che archivia l’inchiesta aperta per l’incidente come fatalità: Schumi non doveva essere lì. Poi rubarono la cartella clinica da rivendere a 50.000 euro. Nessuno la comprò, anzi denunciarono. L’autore del ricatto (un uomo della società incaricata di elitrasportare il 7 volte campione del mondo da Grenoble a Losanna per la prima fase di riabilitazione) morì suicida in cella. È il 3 giugno quando Gary Hartstein, anestesista statunitense ed ex delegato medico per la F1 della Fia, gela tutti: «Temo, e ne sono quasi certo, che non avremo mai più buone notizie sullo stato di salute di Michael» scrive sul proprio blog. A settembre 2014, Schumi torna a casa, la villa di Gland sulle rive del lago di Ginevra. Da due anni si rincorrono voci e indiscrezioni sui suoi passi avanti: cammina, non cammina, parla, non parla. Di certo c’è solo quello che ha detto la sua portavoce storica, Sabine Kehm: “I progressi ci sono, ma il recupero è molto lento e richiede pazienza”. Pesa poco più di 40 kg nonostante la ginnastica passiva, riconosce i figli con gli occhi, si commuove a sentire la voce della moglie che sta cercando disperatamente di dare una parvenza di normalità ai figli (Mick jr continua a correre). La vita gli ha dato tanto, ma gli ha anche tolto tanto.