Agli occhi del barone de Coubertin la città di St. Louis, in Missouri, doveva sembrare poco più di un puntino d’inchiostro nel bel mezzo di quel Midwest che stando alle carte si poteva solo raggiungere dopo quasi mille miglia in treno una volta arrivati a New York alla fine di una infernale traversata dell’Atlantico. Poteva forse un aristocratico parigino cresciuto nel sempiterno mito della classicità immaginare se stesso e la sua Olimpiade in un polveroso centro di provincia, ostaggio di quella borghesia di mercanti e bovari arricchiti? Evidentemente no, e per quanto non fosse in suo potere opporsi una volta consegnata agli Stati Uniti dal Comitato la scelta di una sede per i Giochi della III Olimpiade del 1904, poté dimostrare tutta la sua flemmatica disapprovazione disertando l’evento. Dopo l’eufemisticamente poco fortunata edizione del 1900, carezzandosi i baffi e portando avanti il bastone da passeggio De Coubertin avrà pensato che se Parigi valeva bene una messa, a St. Louis avrebbe preferito un mantenimento di laicità.
A onor del vero St. Louis nei primi anni del Novecento era una città in grande crescita e fermento. Lo stato del Missouri aveva combattuto la guerra di secessione dalla parte degli Unionisti sebbene la schiavitù fosse un caposaldo dell’economia locale e buona parte della popolazione dello Stato avesse di fatto ampiamente parteggiato per il Sud confederato. La fedeltà agli yankees in giubba blu valse qualche privilegio a St. Louis e a tutto il Missouri, che difatti fu costretto ad abolire la schiavitù solo nel 1865, anno della fine della guerra. Negli anni successivi la popolazione afro-americana della città aveva conquistato ben più di qualche posizione fino a costituire una sacca importante della locale middle-class, gruppo sociale di cui facevano parte tra gli altri l’impresario e diacono della locale chiesa battista Henry Berry e sua moglie Martha, direttrice di una scuola pubblica. Il loro figlio Chuck è ancora oggi uno dei figli più amati di St. Louis e sarebbe nato una ventina d’anni dopo per poi avere il dolce onere di inventare il rock’n’roll. Ma il ritmo indiavolato delle schitarrate di Chuck Berry in Jhonny B. Goode era ancora ben lontano dall’essere patrimonio collettivo nel 1904, quando la scena musicale apparteneva a un altro nero figlio del sud, texano per la precisione: Scott dita-di-fata Joplin. Il re del ragtime aveva già conquistato le scene con l’eterna Maple Leaf Rag e in quell’anno avrebbe composto un altro grande successo come The Cascades, scritta in onore del grande evento che St. Louis avrebbe ospitato nel 1904. No, non si trattava dell’Olimpiade, ma di un altro evento che la gente del Missouri aspettava con ansia: l’Esposizione internazionale in onore del centesimo anniversario della Louisiana Purchase, l’atto con cui nel 1804 il governo americano aveva acquistato dalla Francia l’allora territorio della Louisiana, colonia che comprendeva oltre che l’attuale Louisiana una fetta enorme di territori che da sud a nord inglobava anche gli attuali Kansas, Nebraska, Montana, Oklahoma oltre che lo stesso Missouri.
Inutile dire che la borghesia mercantile di St. Louis sentiva particolarmente l’evento sia per il suo valore simbolico che per l’enorme afflusso di uomini, merce e denaro sonante che la fiera avrebbe portato in città. Quando il CIO diede agli Stati Uniti l’onore di ospitare la III Olimpiade e la scelta sembrava dover ricadere su Chicago i notabili del Midwest non mancarono di far notare la propria disapprovazione per un evento che avrebbe certamente tolto visibilità alla loro fiera. Il Governo aveva già le sue gatte da pelare con una guerra -quella contro la Spagna che era valsa la liberazione di Cuba e la sottomissione di Porto Rico tra le altre cose- ancora fresca nella memoria e il terzo Presidente ammazzato durante il suo mandato, il compianto William McKinley freddato tre anni prima a colpi di pistola da un militante anarchico durante un intervento a Buffalo. A subentrargli era stato Theodore Roosevelt, uno degli eroi della guerra contro la Spagna che aveva combattuto da colonnello muovendosi tra le truppe a cavallo e che al suo stile da cowboy impulsivo e un po’ populista non aveva rinunciato nemmeno una volta diventato presidente. E infatti ci mise poco a cedere alle richieste che sapevano di ricatto dei danarosi mercanti di Saint Louis già pronti a organizzare un evento sportivo parallelo per boicottare l’Olimpiade se si fosse svolta a Chicago in contemporanea alla loro preziosa esposizione. Quello per De Coubertin fu il colpo definitivo: un’altra Olimpiade, dopo quella di Parigi, ospitata dentro un’esposizione commerciale, per altro oltreoceano e per altro nelle mani di un mandriano in carriera diventato presidente era decisamente troppo per lui.
E difatti i Giochi della III Olimpiade portarono con sé poco dello spirito olimpico, a partire dal manifesto che le annunciava e che metteva alla pari delle competizioni proprio la fiera per finire con l’esibizione – in guisa di mostra zoologica – di alcuni nativi delle terre appena acquisite dagli Stati Uniti e l’istituzione delle giornate Antropologiche in cui individui di razze ritenute inferiori venivano fatte gareggiare allo scopo di essere resi ridicoli.
Nonostante ciò e nonostante la platea di partecipanti sia stata quasi esclusivamente nordamericana (523 atleti su 652 partecipanti erano di nazionalità statunitense e solo 52 venivano da un altro continente) l’Olimpiade di St. Louis fece registrare risultati sportivi importanti e alcune pietre miliari della simbologia olimpica, a partire dalla premiazione attraverso medaglie d’oro, d’argento e di bronzo che prese piede proprio dall’edizione del 1904. Di quelle medaglie ben 238 furono assegnate ad atleti statunitensi con gli atleti dell’Impero tedesco secondi in questo singolare medagliere con 13 medaglie in totale e altri a seguire sulla stessa piccola scia. Sono numerose le storie di sport uscite da quest’Olimpiade un po’ sconclusionata, ospitata dentro una fiera di vaccari e accompagnata dalle note scanzonate di Scott Joplin, proviamo a elencarne alcune:
A testimonianza dell’importanza, seppur relativa nei numeri, della componente tedesca del medagliere va segnalato il risultato proprio di un atleta suddito del Kaiser Guglielmo II: il nuotatore Emil Rausch, vincitore della gara su 880 yard (poco più di 800 metri) in stile libero nuotate in 13’11’’ (per curiosità di confronto, a 112 anni di distanza il record del mondo maschile sulla distanza degli 800 m è di 7’32’’12 fatto registrare a Roma nel 2009) e della gara del miglio conclusa in 27’18’’; a questi due successi Rausch aggiunse il bronzo nella gara nuotata sulle 220 yard. Questo bronzo gli permise di classificarsi come miglior atleta non americano dell’edizione, davanti a un altro nuotatore, l’ungherese Zoltan Halmay che vinse le gare di stile libero sulle distanze di 50 e 100 yarde stabilendo il record olimpico su entrambe le lunghezze.
Grandissima eco durante l’Olimpiade/Fiera campionaria di St Louis ebbe poi, oltre all’appena inventato cono gelato, anche il bottino sportivo di Ray Ewry, ragazzo originario dell’Indiana che è ancora oggi uno degli atleti più medagliati della storia con i suoi 8 ori olimpici (10 se si contano i due dell’Olimpiade intermedia del 1906) conquistati nella sua specialità oggi scomparsa: il salto da fermo. A St. Louis Ewry si presentò già da campione conclamato con le tre medaglie conquistate quattro anni prima a Parigi nelle tre specialità del salto, uguali a quelle di oggi, solo che compiute senza rincorsa: salto in alto, salto in lungo, salto triplo. Ripeté in Missouri quanto già compiuto in Francia conquistando per altro con il salto in lungo il record olimpico e mondiale sui 3,476 m fatti segnare sulla sabbia. La storia atletica di Ewry è senz’altro curiosa dal momento che la potenza muscolare accumulata nelle gambe che gli permetteva di saltare così bene pare fosse dovuta alle terapie di riabilitazione per combattere la poliomelite, malattia che l’aveva colpito da bambino e che avrebbe potuto costringerlo alla sedia a rotelle come accadde al secondo presidente Roosevelt che portò gli Stati Uniti in guerra contro Hitler dalla sua carrozzina.
Quella del 1904 fu anche la prima edizione che incluse tra le discipline il pugilato, che allora si combatteva a mani nude, e che vide tra i suoi protagonisti un caso unico nella storia come quello di Oliver Kirk, pugile originario del Nebraska che vinse la medaglia d’oro nella categoria dei pesi piuma per poi perdere cinque chili in quindici giorni (probabilmente è meglio che le modalità restino ignote) per vincere un altro oro nei pesi gallo. Ancora oggi è l’unico pugile nella storia ad aver compiuto un’impresa del genere.
È una scoperta relativamente recente, ma l’Italia ebbe un suo rappresentante, seppur italo-americano e seppure partecipante non ufficiale. Si trattava di Francesco Bizzoni, lodigiano di nascita e newyorkese d’adozione sotto il nome di Frank. E noto come Frank Bizzoni questo ciclista della bassa padana, più vecchio di Coppi e Bartali ma quasi coetaneo del leggendario Costante Girardengo, partecipò all’Olimpiade di Saint Louis gareggiando in via non ufficiale nella gara su pista sulla distanza del quarto di miglio. Da cittadino americano Bizzoni partecipò anche alla prima guerra mondiale, ma ottenne la cittadinanza solo nel 1917, fatto che ai fini delle statistiche ufficializza la partecipazione di Bizzoni all’Olimpiade del 1904 come atleta rappresentante del Regno d’Italia.
I Giochi della III Olimpiade si compirono così, in quel modo arruffato da sagra di paese un po’ troppo cresciuta che la fiera di St. Louis doveva sembrare al povero barone De Coubertin il quale, mentre l’edizione di quell’infausto 1904 si prolungava per ben cinque mesi, da luglio a novembre, e con una quantità di titoli assegnati anche fuori dal perimetro olimpico, già pensava alla successiva. Possibilmente, questa volta, un evento libero da fiere campionarie e musica leggera, quella sì da lasciare a St. Louis dove nel giro di pochi post-olimpici anni sarebbe nato il blues. Un lascito niente affatto da poco.