Biathlon

Biathlon, Fabrizio Curtaz: “Il meglio deve ancora venire”

Italia biathlon - bronzo staffetta mista Sochi 2014 - Foto Marco Trovati Fisi/Pentaphoto

I successi del weekend appena trascorso sulle nevi canadesi di Canmore, in Canada, hanno portato il biathlon al centro dell’attenzione in Italia, anche tra i non appassionati di questa disciplina che a sud delle Alpi non viveva una stagione così positiva da più di vent’anni. Siamo andati a parlare con Fabrizio Curtaz, ex direttore tecnico della nazionale azzurra fino all’anno scorso, per capire cosa è stato fatto e come ci si è mossi per far sì che questo sport, in altri paesi il più popolare delle discipline invernali, tornasse al successo anche in Italia. “Sono felicissimo per queste tre giornate canadesi! È un altro piccolo record che si va ad aggiungere a quelli fatti negli ultimi anni. Da tanto tempo non arrivavano risultati importanti, negli ultimi tempi siamo riusciti a rifare certi risultati e ora credo che i ragazzi abbiano addirittura fatto qualcosa che non era mai successo: un uomo e una donna che vincono lo stesso giorno! Questo penso sia il sogno di qualsiasi tecnico, allenatore e federazione: avere nello stesso giorno due vittorie così eclatanti. Adesso questi ragazzi sono ormai maturi e possono arrivare dappertutto: secondo me non è finita qui, ne vedremo ancora delle belle!”

Il record in una stagione per l’Italia è 18 podi, ora siamo a 13 e la stagione non è finita.
“La stagione è ancora lunga, ma alla fine non è il numero di podi che conta, l’importante è riuscire ad rimanere sempre ad alti livelli, perché al giorno d’oggi arrivare nei primi 10 è sinceramente sempre un ottimo risultato. Poi ovvio che tv, giornali e tutti guardano al podio, ma si sa che se nel biathlon arrivi nei 10 vuol dire che puoi vincere”.

Come si è riusciti a riportare il biathlon italiano ai fasti degli anni Novanta?
“Negli anni 90 c’è stato proprio un momento d’oro con Catarinussi, Favre e la Santer. Poi la Ponza ha fatto tanti risultati, ma era un po’ sola e le è sempre mancata quella medaglia ai mondiali che è arrivata dopo. Bisogna avere innanzitutto un po’ di fortuna, dei ragazzi che hanno le capacità e i numeri per diventare atleti di alto livello. Poi bisogna lavorarci sopra, perché non è che se alla base hai i numeri automaticamente arrivi ad alti livelli. Però è importante avere la fortuna di trovare atleti forti di base. Poi il lavoro è stato lungo e difficile. Con coraggio siamo ripartiti dopo Vancouver con una squadra giovanissima, dove bisognava ripartire quasi da zero, perché era un’occasione per provare qualcosa di diverso. Quindi abbiamo focalizzato il lavoro sull’allenamento, lavorando come fanno anche tutte le altre nazionali del mondo, cercando di puntare alla qualità”.

Anche a livello economico non è stato facile?
“Ovviamente con le risorse che avevamo non era così facile e abbiamo dovuto lottare con tanti problemi. Alla fine ci abbiamo creduto, abbiamo creato un bel gruppo e questo è fondamentale, perché il biathlon è uno sport mentale e se non riesci ad avere l’atteggiamento giusto nel lavoro e poi di conseguenza in gara, diventa veramente difficile arrivare a certi risultati. In poche parole è stata questa la strada che abbiamo percorso”.

Qual è la strada per far sì che in futuro ci siano i ricambi e non si torni nell’anonimato?
“Il fatto che ci siano dei buchi generazionali può dipendere da tanti fattori, non solo dalla qualità del lavoro, perché devo dire che sotto la nazionale la qualità del lavoro fatto dai comitati e dai corpi sportivi militari è medio-alta se devo paragonarla alle altre nazionali. Il problema è proprio sui numeri, perché i nostri sono piccoli e non ogni anno arrivano atleti con certe caratteristiche, per cui, anche lavorando con qualità, quando vai a scontrarti nei primi anni senior in Coppa del mondo e Coppa Europa vedi se uno ha le cartucce giuste o no. Dall’altra parte non bisogna dimenticarsi il settore giovanile che purtroppo quando non ci sono le risorse subisce quasi obbligatoriamente i tagli. Ora le federazioni e il Comitato olimpico nazionale hanno capito che non bisogna tagliare lì, però quando i soldi sono proprio pochi, com’era per il biathlon, non è che puoi saltare le tappe di Coppa del mondo. Quindi abbiamo dovuto fare dei tagli sul settore giovanile. Ora spero che questo non debba più accadere e si possa lavorare forte, perché i giovani sono la parte più importante: così diventa più facile gestire le situazioni ad alto livello”.

Si può anche creare un circolo virtuoso con pubblicità e sponsor grazie ai successi in Coppa del mondo?
“Questo è fondamentale, purtroppo quando ho iniziato io era proprio questo il problema, perché non ci conoscevano e non c’erano i risultati, quindi andare a chiedere finanziamenti era difficile. Abbiamo avuto una ditta che ci forniva le cartucce e ci è sempre stata vicina, anche quando non facevamo i risultati: dobbiamo essere grati perché ci ha sempre sostenuto sia dal lato economico che da quello tecnico. Ovviamente ora ci conoscono ed è più facile reperire risorse e sponsorizzazioni, però questo è un circolo sia vizioso che virtuoso, perché all’epoca io lo dicevo ai ragazzi: ‘Prima dobbiamo fare i risultati, poi possiamo andare a bussare alle porte per chiedere finanziamenti’. Penso che questo sia stato capito da tutti. All’epoca per risparmiare andavamo a farci da mangiare negli appartamenti e ora lo fanno ancora, ma è diventata una scelta, non una mancanza di risorse. E’ importante che si rimanga sempre attaccati al suolo!”.

Questa settimana iniziano i Giochi Olimpici invernali giovanili: l’Italia manda quattro atleti per il biathlon, immaginiamo lei li conosca bene.
“Sì, li conosco, anche se so che se resto fermo ancora i giovani finirò per non conoscerli più! Mi ripeto, il settore giovanile italiano non ha grandissimi numeri se ci paragoniamo ad altre nazioni, ma abbiamo comunque una qualità alta. Poi nel settore femminile i numeri sono ancora più piccoli, però quest’anno secondo me ci sono diverse ragazze che possono fare veramente bene. In ogni caso questa è un’età in cui non è fondamentale fare risultato, ma lo è di più crescere bene tecnicamente e fare esperienza: andare a confrontarsi per vedere a che punto siamo è importante perché si capisce cosa manca e si trova la motivazione per lavorare ancora più duro. A questo serve l’Olimpiade giovanile, il medagliere non è importante”.

Di recente abbiamo realizzato un’intervista esclusiva con Lisa Vittozzi, che nelle categorie junior ha fatto grandi cose, ma ora è contenta quando va a punti in Coppa del mondo perché ha capito che la differenza è grande e ci vuole umiltà.
“Verissimo, Lisa è proprio la ragazza che ha capito subito questo meccanismo, perché andando a fare i mondiali junior o giovani era facile trovare la medaglia, ma mandarla subito in coppa perché avevamo bisogno di lei era un’altra cosa. Ha capito qual era il vero mondo e si è subito resa conto che bisogna lavorare tanto e avere anche pazienza nella crescita. Quando lavori duro non è detto che sempre tutto vada liscio, ma prima o poi i risultati arrivano”.

Ora con i risultati delle staffette aumenteranno i posti in coppa, per cui sarà più facile far fare esperienza ai ragazzi.
“Diciamo che la Coppa del mondo è importante, ma ci sono anche i circuiti sotto: l’IBU Cup è una specie di Coppa Europa, seppur estesa a tutte le nazioni. Non è fondamentale mandare la gente in coppa a fare esperienza, anzi, diciamo che a volte abbiamo avuto più posti rispetto al numero di atleti di livello in Coppa del mondo. Quindi bisogna stare attenti a questo ragionamento, perché non è importante avere tanti posti, ma riuscire a sfruttare al meglio quelli che si ha, altrimenti si ritorna alla mentalità di quando sono arrivato io: l’idea era che fosse importante qualificarsi ed andare in coppa e poi quello che c’è, c’è. Invece bisogna andare essendo pronti per fare un grande risultato, non solo andare per partecipare. Non è stato facile cambiare la mentalità”.

Una speranza o previsione per quest’anno?
“So che i ragazzi possono, lo vedete tutti, fare un grande Mondiale se tutto va liscio. Poi qualcosa può sempre andare storto, il biathlon è bello anche per quello. Io spero che possano arrivare al Mondiale con la testa giusta, ecco. Se arrivano là con l’atteggiamento che serve in quel momento i risultati arriveranno, però bisogna sottolineare che ora arrivano al Mondiale in una situazione nuova perché non sono più quelli che possono rovinare la festa agli altri, ma quelli che quasi ‘devono’ fare il risultato. Bisogna vedere come reagiranno a questa situazione che non hanno mai vissuto in un Mondiale: io spero che ce la facciano”.

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