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Canottaggio, Sara Bertolasi: “Sogno la finale a Rio. Futuro in federazione? Perché no”

Canottaggio, Sara Bertolasi e Alessandra Patelli - Foto @Mimmo Perna

Il due senza con Sara Bertolasi ed Alessandra Patelli ha conquistato la qualificazione per i Giochi Olimpici di Rio 2016. Sul lago di Lucerna, in occasione della regata di qualificazione olimpica, le due azzurre, con il terzo posto, hanno messo il sigillo sulla loro partecipazione. Per Sara Bertolasi, ventottenne atleta della SC Lario, sarà la seconda partecipazione dopo quella di Londra 2012. “Il sogno è quello di arrivare in finale a Rio 2016 – racconta in questa intervista esclusiva a Sportface.it – sarà difficilissimo ma… mai dire mai”.

Partiamo da Lucerna, l’ultimo atto. Che emozione è stata?
“Ho ancora i brividi, una gioia immensa. E’ vero, bastava arrivare fra le prime quattro, ma nello sport mai dare nulla per scontato. Inoltre partivamo dalla delusione del Mondiale dello scorso anno in cui avevo avuto anche una microfrattura costale, quindi c’era davvero tanta voglia di rifarsi. Questo inverno abbiamo lavorato tanto, sono stati allenamenti durissimi, ma volevamo arrivare a Lucerna pronte, in modo da fare la nostra gara senza avere alcun tipo di rimpianto. Sebbene i tempi non sempre siano indicativi, questa volta dalla prima batteria abbiamo capito che potevamo giocarcela alla pari con tutti, e così è stato. Sono onesta, però. Fino agli ultimi 20 metri non ho pensato di farcela perché può davvero succedere di tutto, ma tagliato il traguardo…”

Dei tanti sport ai quali ci si può avvicinare, perché proprio il canottaggio?
“E’ una storia molto lunga. All’età di 15 anni ho iniziato con il ciclismo e per quattro anni l’ho praticato a livello agonistico, ahimè senza riuscire ad ottenere buoni risultati. Il sogno di partecipare ai Giochi Olimpici, però, l’ho sempre avuto e giocoforza ho dovuto guardarmi introno per capire cosa davvero fosse giusto per me. Mio padre, grande appassionato di sport acquatici, non ha avuto dubbi nel consigliarmi il canottaggio. E’ stata anche una scelta di opportunità, dato che ho una gran forza esplosiva nelle gambe, per cui mi sono convinta che fosse il caso di sfruttare questa dote”.

Hai iniziato con la Canottieri Varese. A distanza di anni, cosa rappresenta quel circolo per te?
“La Canottieri Varese è come un nido per me. E’ li che sono cresciuta e dove ho fatto le prime vogate. Pur essendo ora un’atleta della Canottieri Lario, quando sono a casa, come in questo momento, vado ad allenarmi li. E’ una seconda casa e la porterò sempre nel mio cuore”.

E a Como ti trovi?
“Altrettanto bene. Anche qui alla Canottieri Lario c’è un ambiente splendido per lavorare serenamente. Mi hanno trasmesso una grande fiducia fin dal primo momento. A Lucerna, nella gara decisiva, c’era mezzo consiglio e numerosi dirigenti a fare il tifo per me. Non è scontato che una società segua sempre i suoi atleti. Poi loro sono sempre con me, a prescindere dai risultati o dall’importanza della gara e questo è un enorme attestato di stima che mi riempie di orgoglio”.

Il quadriennio fra l’Olimpiade di Londra e quella di Rio non è stato facile. Infortuni, cambi di rotta, poi il ritorno definitivo al “due senza”. Cosa è successo?
“Sono tornata al “due senza” un mese prima del Mondiale dello scorso anno. Sapevo che era giusto così, perché è questa la mia barca, quella su cui davvero sento di poter competere al massimo delle mie possibilità, ma allo stesso tempo ero conscia dei rischi e delle difficoltà di tornare a vogare in coppia dopo due anni a così poco tempo dall’inizio della competizione. Fra le altre cose, di un mese di raduno ne abbiamo impiegato la metà solo per scegliere la ragazza che avrebbe vogato con me. Una volta scelta Alessandra Patelli siamo riuscite a lavorare bene, ma per poco tempo. Poi la microfrattura e un Mondiale fatto sotto antidolorifico. Insomma, meglio guardare avanti”.

Nella tua disciplina il compagno è fondamentale. A Londra eri con Claudia Wurzel, mentre a Rio sarai con Alessandra Patelli. Senza fare paragoni, cosa hai preso dall’una e cosa dall’altra?
“Claudia, senza dubbio, mi ha trasmesso la sua sensibilità di barca. Con Alessandra, invece, ho trovato una vera e propria sinergia a livello mentale, sia in gara che in allenamento. Ciò che io dico, lei lo sta per fare. E viceversa. Tutto questo è fondamentale, perché in gara, dove spesso ci si trova in debito d’ossigeno e non c’è tempo e modo per parlare, sapere di poter contare su qualcuno che pensa come te e agisce come te, ti fa davvero sentire di avere una marcia in più. Sono comunque entrambe ragazze straordinarie”.

Fra Lucerna e Rio non passerà molto tempo. Cosa hai in mente di fare per prepararti al meglio?
“Anzitutto mi sono dovuta prendere cinque giorni di riposo forzato a causa di una brutta febbre. Non credo ci sia bisogno di una preparazione diversa da quella che abbiamo fatto per prepararci alla gara di qualificazione. Niente di più, ma soprattutto niente di meno. Andiamo a Rio per dare il 100% ma senza ambizioni di medaglia. Già andare ai Giochi è un traguardo grandioso. Il nostro sogno è quello di entrare in finale e lavoreremo sodo per quello. Sarò difficilissimo, ma mai dire mai”.

Il tuo è uno dei cosiddetti “sport nobili”, in cui l’Italia ha anche una certa tradizione. Pensi che si possa fare qualcosa per aiutare il movimento ad espandersi?
“Secondo me per rendere il canottaggio più popolare lo si dovrebbe rendere più spettacolare. Questo, però, è un compito della Federazione Internazionale, non di quella interna. A pensarci bene le idee non mancano. Una potrebbe essere quella di accorciare la distanza delle gare, portandole da 2000 m a 1000 m. Si dovrebbe anche iniziare a pensare di creare equipaggi misti, uomo-donna, in modo da alimentare il più possibile anche storie di gossip. E il gossip attrae parecchio”.

Anche alla luce di queste idee, ti vedi con un futuro in Federazione?
“In questo momento sono in Consiglio come “quota atleti”, ma se un domani dovesse esserci un gruppo di persone, non ti dico con le mie stesse idee, ma anche solo con la mia forma mentis, potrei iniziare a pensarci. Le prospettive sono stimolanti, però ora come ora va bene così”.

Com’è Sara posato il remo?
“Quando torno a casa, appena posso, passo la maggior parte del tempo con la mia famiglia e con il mio ragazzo. La vita in raduno è pesante e monotona, quindi anche solo una semplice passeggiata in centro a Varese mi fa stare bene. Riposare un po’ sul divano, guardare la televisione, preparare un dolce, vivere una normalità che nel nostro ambiente finisce con l’essere merce rara”.

Bando alla scaramanzia, se a Rio dovesse andar bene hai già in mente come festeggiare?
“No, ma per il semplice fatto che sentire vicine ogni giorno tutte le persone che ti vogliono bene è la più bella di tutte feste”!

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