Ciclismo

Scandalo Mondiale ciclocross, l’atleta belga: “Sono innocente”

Ciclocross - Foto Cronoser CC BY-SA 4.0

Heusder-Zolder, ridente località del nord-est del Belgio a pochi chilometri dal confine con la Germania, è la pietra miliare di un nuovo possibile scandalo che è sul punto di investire come un fiume in piena il mondo del ciclismo, perlomeno la categoria cross. Nel comune delle Fiandre, dove si è svolto il Mondiale di ciclocross, dopo gli ispettori dell’Unione ciclistica internazionale (Uci) avrebbero scoperto un motorino elettrico nella bicicletta della 19enne belga Femke Van Den Driessche, che ha preso parte alla gara femminile under 23. Il “trucco”, costato per il momento alla giovane atleta la squalifica dall’ordine d’arrivo, preannuncia nuove critiche a un mondo che, dopo gli scandali del doping, sembra proprio non voglia, o non riesca, a scrollarsi di dosso gli occhi sospettosi della gente.

Femke Van Den Driessche, campionessa europea Women Youth 2015, ha concesso un’intervista al quotidiano locale Sporza, in cui ha fermamente negato, in lacrime, di essere a conoscenza del mezzo illecito: “Non ne sapevo nulla – ha affermato la giovane atleta – Si tratta di un terribile errore da parte dei meccanici. Spero che mi sia data la possibilità di dimostrare la verità, anche se so di rischiare la carriera. Quella bici non appartiene a me – ha proseguito la 19enne belga – ma a un mio amico, a cui l’avevo venduta l’anno scorso e che è solito allenarsi con noi: è venuto a fare la ricognizione del percorso di gara e poi l’ha lasciata sul camion. Non so come sia potuto accadere, ma un meccanico ha pensato fosse la mia e me l’ha preparata per la corsa”.

Frode tecnologica, è questo il nome della piaga 2.0 del ciclismo moderno. La metafora bicicletta-motorino applicata ai più grandi interpreti del pedale non è certo una novità. Ma dalla battuta scherzosa “guarda come va forte Caio, sembra abbia il motorino” si è passati di recente alle prime piccate polemiche. Sotto accusa diversi corridori, dal canadese Ryder Hesjedal allo svizzero Fabian Cancellara – proprio di recente tornato a vincere una corsa, la terza prova del Challenge Maiorca, dopo quasi un anno di digiuno – Colpevoli di andare troppo forte (Cancellara) o di anomale rotazioni della propria bici in seguito a una caduta (Hesjedal). Si parlava di speculazioni, di accuse infondate delle malelingue per gettare fango sul ciclismo, reduce dal dramma del doping e dalla conseguente disintossicazione a cui è stato forzatamente sottoposto. Ebbene, il fattaccio di Zolder, ennesima prova che le vie che portano alla truffa possono essere infinite, segna forse l’inizio di una nuova era per le due ruote, un punto di non ritorno che avrà come primo risultato l’aumento dei test “antidoping” sui mezzi oltreché sugli atleti. D’altronde, dal 2015 l’Uci ha introdotto un nuovo articolo all’interno del regolamento, specifico per queste “droghe tecnologiche” e con annesse sanzioni. Si va dall’esclusione dall’ordine d’arrivo a una squalifica di minimo sei mesi. Sono inoltre previste multe salatissime, sia per il corridore (da 19.265 a 192.230 euro) che per il team (da 96.135 a 963. 160 euro).

Furioso il presidente dell’Uci Brian Cookson, che ha attraverso una nota sul profilo Twitter, ha espresso tutta la sua indignazione per quanto accaduto al Mondiale di Zolder: “La frode tecnologia è inaccettabile – ha twittato Cookson – Chi usa questi trucchi prima o poi dovrà pagare per i danni che fa a questo sport”. L’Unione ciclistica internazionale ha confermato i numerosi controlli sui mezzi di gara in tutti i grandi eventi del 2015, annunciando nuovi sistemi di rilevazione dell’illecito previsti per il futuro.

Per la cronaca tra le élite si è laureata campionessa del mondo l’olandese Thalita De Jong, mentre nelle under 23, la gara macchiata dalla squalifica di Femke Van Den Driessche, ha trionfato la 18enne britannica Evie Richards. Tra gli uomini vittorie per i belgi Wout Van Aert (élite) ed Eli Iserbyt (Under 23).

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