Il fenomeno Nadal nasce, per tutti (o quasi), nel 2005. Montecarlo, Barcellona, Roma, Roland Garros, Madrid, a cavallo tra i 18 e i 19 anni. Undici titoli, stagione chiusa al numero 2 del mondo: l’esplosione di un campione. Un eufemismo, probabilmente. Rafael Nadal-Parera – nei primi anni utilizzava ancora il doppio cognome – arriva però da molto più lontano. Le prime quattro stagioni nel circuito, tra 2001 e 2004, tra i 14 e i 17 anni, raccontano molto, tanto. Quei tornei lontani dalle luci dei riflettori, dalle telecamere, dalle dirette televisive, spiegano come e perché Rafael Nadal-Parera diventa, apparentemente all’improvviso, Rafa Nadal.
Nadal gioca il primo torneo da professionista, a 14 anni, all’inizio del 2001. In un evento Satellite sulla ‘sua’ isola di Maiorca, disputa le qualificazioni delle tre tappe in programma, vincendo 5 partite su 8. Il primo avversario della sua carriera, battuto 6-1 4-6 6-0, risponde al nome del connazionale Tomas Prieto-Sorensen che, destino vuole, sarebbe poi divenuto Head Coach del Rafael Nadal Sports Centre. Tutto torna. In quelle settimane si trova alle Baleari anche Simone Vagnozzi, attuale coach di Jannik Sinner. “Non vidi giocare Rafa in quei giorni, ma ricordo che se ne parlava già tantissimo”, racconta.
Un piccolo salto avanti nel tempo. È il mese di settembre del 2001, qualche giorno dopo l’attentato alle Torri Gemelle. A Siviglia il quindicenne Rafael Nadal si appresta a disputare il primo torneo Challenger della carriera. All’esordio il giovane spagnolo supera il connazionale Israel Matos-Gil 6-2 6-1, ma all’ostacolo successivo si trova di fronte la testa di serie n.2, nonché numero 161 del mondo, Stefano Galvani. Il padovano, che avrebbe raggiunto la Top100 qualche anno più tardi, ricorda il torneo (poi vinto) e quel match: “Mi informai su chi fosse questo Nadal e mi fu descritto come un giovanissimo spagnolo molto promettente. Pensai: per quanto sia bravo, ha pur sempre quindici anni appena compiuti, non avrò problemi. Ruben Ramirez-Hidalgo (ex n.50 ATP) mi disse: ‘occhio, stai attento, questo è già forte’. Aveva ragione lui, nel primo set giocò benissimo e mi diede 6-3”. A quel punto Stefano, con il suo gioco piatto e rapido, che ha sempre dato fastidio ai colleghi spagnoli, aggiusta la situazione e vince in tre set. “L’episodio più bello, però, fu quando ci incontrammo l’anno dopo”. Flash Forward: nell’ATP di Barcellona del 2002, che Nadal avrebbe poi vinto 12 volte, Rafa e Stefano si affrontano di nuovo nel primo turno di qualificazione. “Iniziammo il riscaldamento e sulla prima palla Nadal si spostò sul dritto tirandomi un’accelerazione impressionante, io con un colpo steccato in qualche modo la rimandai di là e lui di nuovo ‘boom’, botta pazzesca di diritto; a quel punto iniziai a spingere fortissimo anche io e, di fatto, giocammo un punto che riuscii a vincere. Mi fermai e gli dissi: ‘Ok, adesso possiamo palleggiare?’. Il mio allenatore dell’epoca, Giampaolo Coppo, ancora ride”. Galvani vinse quel match 6-2 7-5, portando a 2-0 il conto dei precedenti con Nadal. Stefano è ancora oggi l’unico italiano con un record positivo contro Rafa.
Ritorniamo indietro di qualche mese. Nadal inizia la stagione 2002 al numero 810 della classifica ATP. Esistono ancora i tornei Satellite, che di lì a poco sarebbero stati sostituiti in tutto e per tutto dai Futures. Come funzionavano? Ogni Satellite veniva disputato nell’arco di un mese: tre tappe e un Master finale in cui si qualificavano i migliori delle settimane precedenti. Potevano essere logoranti, fisicamente e mentalmente. Nel mese di gennaio del 2002, sull’isola di Maiorca e in particolare a Caja Ratjada (30 km di distanza da Manacor), si svolge il primo Satellite dell’anno. Tra gli iscritti all’evento ci sono, oltre a Rafa, gli italiani Potito Starace, Alessandro Da Col, Giancarlo Petrazzuolo e Gianluca Luddi. C’è anche Alcaraz, che di nome fa però Antonio. Nel primo torneo Nadal raggiunge il secondo turno, mentre nella seconda settimana all’esordio deve affrontare Potito, all’epoca ventenne in forte ascesa. A seguire la sfida a bordo campo c’è anche Petrazzuolo. I due campani in quel periodo si allenano insieme a Trevignano agli ordini dell’ex davisman Tonino Zugarelli. “Poto in quel momento stava giocando un tennis spaziale – ricorda Petrazzuolo, che in carriera sarebbe arrivato al numero 217 ATP –, ma il match contro il giovane Rafa fu, nonostante il punteggio netto, molto combattuto e intenso”.
Nadal arriva al campo con la sua ‘pure drive’ dalle corde gialle e un ‘classico’ completino Nike molto largo; fascia tra i capelli d’ordinanza e capello a caschetto. “Noi, in Italia, non lo conoscevamo, ma lì in Spagna ne parlavano tutti – racconta Starace, ex numero 27 ATP -. Mi dicevano ‘questo è un fenomeno, diventerà fortissimo’. Ero in un ottimo periodo, vinsi 6-3 6-1 ma ricordo nitidamente che tutti i game furono molto equilibrati. La sua palla, avendo 15 anni, non era particolarmente pesante, ma ‘sto ragazzino correva su tutte le palle, non mollava mai”. Nella tappa successiva Rafa incontra un altro italiano: Alessandro Da Col, buon giocatore che qualche anno dopo sarebbe arrivato tra i primi 400 al mondo. “Non conoscevo Nadal e così, appena uscito il tabellone, ne parlai con lo spagnolo Santiago Ventura (ex n.65 ATP) – spiega Da Col -. Ricordo ancora oggi le sue parole: ‘muy duro’. Il mistero si infittiva però, perché non veniva mai al circolo; scoprimmo dopo che già all’epoca era solito allenarsi con Moya a 35 km da lì. Arrivò un’ora prima del match insieme al papà, aveva già una bella stazza e lo ricordo per la grande educazione”. Rafa si presenta al circolo, vince 6-4 6-4 e se ne torna a casa. “Tirava forte, non troppo carico all’epoca ma proprio forte. Mi fece una bella impressione, anche se non pensai di aver affrontato un extraterrestre. Ora è facile dire che avesse già le idee chiare e che non volesse stare al circolo a cazzeggiare. All’epoca pensammo fosse strano non fermarsi mai al torneo”.
A fine aprile del 2002 supera per la prima volta un Top 100 nelle qualificazioni dell’ATP di Maiorca: 6-4 6-4 a Ramon Delgado, all’epoca numero 81 del mondo. Il primo titolo arriva nel Futures di Alicante nel mese di luglio. In pochi mesi ne vince ben cinque, arrivando anche in semifinale nel Challenger di Barcellona. In quella settimana batte un altro Top 100 ATP: Albert Montanes. Nell’ultimo Futures dell’anno, a Gran Canaria, si trova in semifinale contro l’italo-argentino Tomas Tenconi. “Eravamo in questo villaggio molto carino – ricorda l’ex numero 141 al mondo – e tutti i giocatori alloggiavano lì. Il match contro Nadal fu posticipato di due ore perché entrarono i ladri nella struttura e mi rubarono, tra le altre cose, anche il passaporto. Quindi denuncia alla polizia e poi, finalmente in campo. Nadal arrivò con un suo zio, ma non Toni. Iniziai il match molto bene, con grande intensità, salendo 4-2 nel primo set. Rafa tennisticamente aveva delle caratteristiche interessanti, sopra la media, ma non straordinarie come qualcuno potrebbe pensare. Mentalmente, però, era già impressionante: l’intensità che metteva in ogni istante della partita, in ogni colpo, saltava all’occhio. Giocando contro Nadal percepivi che gli spazi vuoti non esistevano, la sua attenzione non calava mai. Dava un senso di maniacalità, di voracità inarrestabile. Tutto ciò si traduceva in una solidità enorme, in una bassa percentuali di errori, nell’interpretazione corretta dei momenti di difesa e di attacco. Aveva già la capacità, che poi abbiamo ammirato per anni, di catturare la fondamentale importanza di ogni istante”. Tomas cala leggermente la propria, di intensità, regala qualcosa; appena ritrova il proprio tennis torna a vincere punti, ma se l’attenzione scenda sono guai. “E infatti dal 4-2 in mio favore finì 6-4 6-2 per lui”. Parziale di 10 giochi a 2. Nadal vincerà poi il torneo in finale su Florian Mayer.
Ciò che rimane impresso nella mente di Tenconi, però, non è soltanto il match. Anzi, è quello che accade fuori dal campo. Il racconto ha un sapore quasi mistico. “A cena, in quel villaggio di Gran Canaria, eravamo un gruppo molto folto: argentini, italiani, spagnoli – racconta Tomas –. Giocavamo a carte, parlavamo tanto tra di noi. Una sera, quando era presente anche Nadal, la discussione fu sui nostri obiettivi, sui sogni nel tennis. A un certo punto fu il turno di Rafa, che si prese del tempo, fece un bel respiro e poi – ricordo come fosse oggi il suo tono – disse: ‘io sarò il numero 1 del mondo’. Non era il primo a dire una cosa del genere, ovviamente; ogni tennista in cuor suo sogna di diventare il più forte di tutti. Ma il modo in cui Nadal proferì quelle parole colpì tutti. Era convincente, molto convincente. Era una frase che veniva fuori dalla sua sana ossessione, dalla sua solitudine, chiamiamola così”. Tenconi si ferma un attimo, cerca le parole giuste, e continua a spiegare. “Parlo di solitudine perché nella mia vita ho incontrato altri atleti di questo genere, uno era Guillermo Coria, con cui ho avuto la fortuna di allenarmi da giovane. È la solitudine dell’artista, del genio, del folle, che si relaziona con il mondo in modo semplice, immediato, senza mediazioni. E questa semplicità la si ritrova poi nel gioco: le scelte tennistiche di Nadal e Coria non sono mai state mediate da nulla, bensì immediate. Vi è per loro una relazione psichica immediata nei confronti del mondo fisico: sanno sempre cosa fare. È un qualcosa che parte da un luogo intimo, meno popolato, per questo parlo di solitudine. Si potrebbe parlare di ‘primo incontro’ o ‘primo colpo’. Uno come Rafa cerca sempre quel primo colpo, per lui il tennis è un ‘ritornare a’, non un ‘andare verso’ come per tutti gli altri. Ho ritrovato questo aspetto quasi sacro in persone che avevano un grandissimo livello di efficienza in ciò che facevano. Si ritirano nel culto di un qualcosa che ha già una struttura, tornano sempre lì. Il loro segreto ‘è tornare a’, non ‘andare verso’.
Prima di arrivare alla stagione successiva, però, è il momento di un altro flashback. Nadal, come è noto, ha giocato pochissimo a livello juniores e mai si parla della sua carriera under 18. In realtà, però, lo spagnolo disputa due eventi importanti in quel 2002: il torneo di Wimbledon juniores. A raccontare quel torneo è lo storico talent scout Fabio Della Vida. “Aveva 16 anni e non era mai stato sull’erba – spiega -. Il sorteggio gli mise davanti la testa di serie numero 1 Brian Dabul, un argentino che da under 18 era fortissimo. Gli argentini sui prati sono bravi, in pochi sanno che è un paese pieno di campi in erba. Nadal non stava letteralmente in piedi, durante ogni scambio finiva per terra e non sembrava competitivo. Non chiedetemi come, perché non l’ho capito nemmeno io, Rafa finì per vincere 5-7 6-4 6-2. E non si fermò lì, giunse in semifinale. Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto, ma si capiva che in lui c’era qualcosa che andava oltre il tennis, la sua forza di volontà era stupefacente”. Il secondo evento? La Coppa Davis Juniores, in cui Nadal vince tutti i match portando la Spagna in trionfo.
Rafa chiude un prolifico 2002 al numero 200 del mondo. È tempo di Challenger. Il gotha tennistico è lontano, ma in costante avvicinamento. Il primo torneo si gioca a Heilbronn, in Germania, sul cemento indoor. Al primo turno supera Hendrik Dreekmann, per poi affrontare Filippo Volandri. “La sua palla aveva un effetto diverso – racconta l’attuale capitano azzurro –, nonostante si giocasse sul ghiaccio. Riusciva ad avere una palla già molto pesante, che girava tantissimo. Si vedeva che le caratteristiche erano più da terra battuta, e in effetti poi qualcosina ha vinto (ride; ndr)”. Nadal perderà nuovamente contro Volandri, qualche mese dopo, nella finale del Challenger di Cagliari. Il primo titolo di categoria arriva la settimana successiva a Barletta, dove supera in finale Albert Portas. A Montecarlo arriva il primo match vinto in un ‘1000’ contro Karol Kucera, bissato poi dal successo sul primo Top 10 Albert Costa.
Se è noto che nel 2005 Nadal vincerà il Roland Garros alla prima partecipazione, è altresì vero che lo spagnolo, prima dell’exploit parigino, aveva già disputato 5 Slam in tabellone. Il primo Major è Wimbledon 2003, dove supera Mario Ancic in 4 set e si ferma al terzo turno contro Paradorn Srichaphan. Il suo mondo diventa ufficialmente quello ATP, ma in quel 2003 c’è ancora spazio per un Challenger. A Segovia, sul cemento all’aperto, Rafa è numero 51 del mondo e testa di serie n.2 (la n.1 è Feliciano Lopez). Al secondo turno il suo avversario è Massimo Dell’Acqua, che proprio quell’anno raggiunge il best ranking di n.148 ATP. “Arrivavo da un momento molto positivo – spiega il ‘big server’ italiano –. Qualcuno mi dava per favorito, sottolineando come Nadal sul veloce non fosse ancora così competitivo. ‘In altura, col tuo servizio, vincerai’, mi dicevano. Nei giorni precedenti lo avevo visto allenarsi, mamma mia quanto urlava a ogni colpo. Pensai: ‘strillerà per tutto il match’, la cosa mi dava un po’ fastidio. Entrai in campo nervoso, la sua presenza, la sua personalità, erano forti. Mi guardava fisso negli occhi”. La partita prende il via e Max si fa rispettare. “Cominciai bene, ero in vantaggio, ma mi innervosiva l’energia che Nadal metteva su ogni palla, era ovunque. Vedevo il campo piccolissimo. A un certo punto ho tirato un servizio a tutto fuoco al corpo pensando ‘adesso vediamo se riesci a pararla’. Si spostò per non essere colpito, ma dal punto dopo tornò tutto come prima. In ogni ‘15’ trasmetteva intensità, sempre”.
Nadal vince 7-5 6-3 e conquista poi il torneo. Nel 2004 arriva la prima finale ATP ad Auckland, persa contro Dominik Hrbaty, e poi il primo titolo del circuito maggiore a Sopot, in Polonia, senza perdere alcun set. La stagione termina con la prima Coppa Davis in bacheca: Rafa sconfigge Roddick in 4 set e Moya chiude i conti. Dal 2005 Rafael Nadal entrerà leggenda, ma nulla della sua carriera sarebbe mai stato possibile senza quei primi 4 anni, le stagioni della crescita. Una sorta di romanzo di formazione, non così conosciuto e ben lontano dalle luci della ribalta, che racconta l’indole, la personalità e la ‘sana ossessione’ di Rafael Nadal.