Editoriali

La lezione di Benedetta Pilato: si può essere felici anche quando non si vince

Benedetta Pilato
Benedetta Pilato - Foto Giorgio Scala e Andrea Masini / DBM

Lo sport è sempre più ultra-competitivo, a volte ti schiaccia tra l’obbligo di ottenere risultati, di guadagnare, di mostrarsi quasi invincibili. E per chi ha le stimmate della campionessa fin da quando era ancora una adolescente, quando ad appena quattordici anni si faceva notare come un talento precoce, per poi conquistare ori ai Mondiali e agli Europei, steccando solo alle sue prime Olimpiadi, il tutto viene amplificato in modo esponenziale. Benedetta Pilato, però, a diciannove anni ha le spalle larghissime, ha già vinto tanto e poco importa se anche a Parigi come a Tokyo non è arrivata una medaglia nella sua rana: a fine gara, appena uscita dalla vasca, la prima reazione, sincera, è quella di un pianto, ma di gioia. E spettatori ed ex sportivi si sono subito lasciati andare a perplessità decisamente fuori luogo.

Già, perché Benedetta Pilato ci dà una grande lezione di vita e di sport: si può essere felici anche quando non si vince, un quarto posto può essere il risultato più bello della propria carriera, e stiamo parlando di una carriera che ancora ha almeno dieci anni davanti ad alto livello, se non di più, in cui sono già stati ottenuti risultati strabilianti. La tarantina lo ha detto chiaramente: “Ci ho provato fino alla fine, mi dispiace. Però sono lacrime di gioia. Sono troppo contenta, è stato il giorno più bello della mia vita”. Si può essere contenti quando si vince: è chiaro, un podio, che avrebbe pure meritato, sarebbe stato ancora più bello. Ma aver migliorato il risultato di Tokyo e anche il risultato di ingresso in finale, con una bella gara finalmente sui suoi standard, in un momento particolare della sua vita con il trasferimento un anno fa a Torino, è per la nuotatrice pugliese un traguardo. Ognuno ha i propri: chi ha il diritto di decidere come reagire a un risultato?

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