Due volte oro europeo e due argento mondiale, Parigi rappresenterà il suo esordio olimpico ma guai a nascondersi. Aziz Abbes Mouhiidine sarà tra i favoriti nella categoria dei pesi massimi di pugilato ma assicura che “c’è la tensione giusta, la preparazione dal punto di vista fisico e tecnico-tattica sta andando molto bene. È la mia prima Olimpiade ma cercherò di ottenere il massimo, e perché no, l’oro che manca tantissimo all’Italia nella boxe”. Quando “mancano meno di due mesi alla gara più importante della vita”, Sportface.it ha intervistato l’atleta azzurro, il gigante buono che si è appassionato alla nobile arte grazie ai suoi due eroi: il padre prematuramente scomparso e Muhammad Alì.
Hai raccontato che ti sei avvicinato a questo sport grazie al film di ‘Alì’ visto con tuo papà Abdellah Marco, c’è stato un particolare che ti ha colpito di più?
La medaglia d’oro olimpica e il momento in cui divenne campione del mondo professionista ad appena 18 anni: dimostrò di essere il più forte di quella categoria pur giovanissimo. Inoltre, mi impressionò tantissimo l’impatto sociale che davano le sue dichiarazioni, i suoi gesti, e il seguito che aveva in tutto il mondo. Per questo motivo ho in lui il mio idolo. Ho iniziato poi a leggere i libri sulla sua storia, a studiare il suo percorso sportivo. Intanto, mi avvicinavo sempre più al pugilato: è stato un inseguimento della leggenda in tutti i modi, a livello culturale e sportivo.
Arrivavi dal karate e kickboxing, come ti eri avvicinato a questi sport?
La palestra di mio zio nasce come Dojo di karate, mia mamma mi portò lì all’età di 4 anni per fare attività fisica. La kickboxing è venuta da sé, poi i corsi di pugilato dagli 8-9 anni. Il karate è stato il primo amore, la kickboxing si è inserita nel percorso: ho praticato le tre discipline per un po’ di tempo, poi ho dovuto scegliere quella con cui proiettarmi nel futuro e ho scelto la nobile arte.
Quale insegnamento trai da questi sport?
Il karate ha dato tanto al mio modo di combattere, per fattori come distanza, timing, footwork. Ringrazierò sempre il karate e i maestri che mi avevano inserito in questo mondo. Per tutti questi sport servono comunque disciplina e determinazione: si cade tante volte ma ti insegnano a saper rialzarsi.
Disciplina anche nell’alimentazione: quanto è difficile?
Sono sacrifici utili per arrivare a questi livelli. Non è un peso perché alla fine lo si fa per un sogno, per raggiungere una medaglia o un titolo. Però bisogna stare sempre attenti, anche in occasioni come le feste. Noi atleti, comunque, abbiamo dei periodi di scarico. Ma sempre rimanendo nel range giusto.
Da italiano, e soprattutto campano, può essere un compito faticoso. Qual è lo ‘sgarro’ che ti concedi?
La pizza, anche se sono un amante del sushi. Ma se devo ‘sgarrare’, lo faccio con la pizza.
Non hai avuto dubbi nel rappresentare l’Italia? Qual è il tuo rapporto con il Marocco?
Con il Marocco c’è un rapporto bellissimo, è dentro di me: c’è il sangue di mio padre e dei Mouhiidine. Rappresento l’Italia per una scelta soprattutto di mio papà: sono nato in Italia e ho passaporto italiano, anche potendo chiedere quello marocchino. Sono fiero di rappresentare questo Paese, ma porto di me pure il Marocco.
In che senso fu una scelta di tuo papà?
Disse a mia madre, lei campana, che ‘Abbes è nato in Italia, ed è italiano’. Punto.
Quanta strada c’è ancora da fare in Italia sul tema integrazione?
Molta. Ci sono tante persone cattive nelle parole e nei gesti, contrariati per questa seconda generazione di italiani. Ma devono accettarlo, assolutamente. Da cittadino meridionale, però, devo dire che sono abituato: prima erano gli abitanti del Sud a essere malvisti, ora si è spostato tutto verso le altre culture. Si fa tanto per andare sulla Luna o su Marte, poi però non c’è rispetto tra le varie etnie.
Fanno più male certe parole o i pugni?
Le parole, decisamente.
Sei anche tifoso del Napoli…
Tifosissimo!
Ultima partita vista?
Non frequento molto lo stadio perché nel weekend sono sempre fuori per preparazione o gare. L’ultima partita che ho visto è stata Napoli-Inter lo scorso anno, quello dello scudetto: l’anno più importante per noi napoletani. Mentre questa stagione è andata un po’ così…
Il tuo ricordo dello scudetto?
Mi trovavo al Mondiale, festeggiai vincendo il mio primo incontro ed esultai vicino la telecamera.
Torniamo invece ai tuoi trionfi, come i due titoli europei. L’ultimo a Cracovia nel 2023 che ti è valso l’onore di essere portabandiera nella cerimonia di chiusura. Prove generali per un futuro olimpico?
L’esperienza è stata bellissima perché ho coronato diversi sogni insieme: il pass olimpico, la medaglia d’oro, l’essere portabandiera. Spero in un futuro di esserlo in una cerimonia di apertura o chiusura di un’Olimpiade, quello assolutamente. All’Olimpiade non mi nascondo e punto all’oro, voglio godermi al massimo questa esperienza, anche per mio papà.
Se ci fosse la possibilità, quale sport ti piacerebbe guardare dal vivo?
L’atletica leggera con i nostri Tamberi e Jacobs ma anche il basket, perché l’America porta le sue stelle Nba e sarà un qualcosa di imperdibile.
Spesso si utilizza il pugilato per alcune metafore nella vita comune. C’è qualcosa in particolare che ti ha mandato al tappeto o messo alle corde?
Al tappeto ci sono andato quando ho perso mio padre. Poi mi sono rialzato perché avevamo il sogno olimpico e non potevo deluderlo. Dovevo rendergli omaggio ancor di più, è stata una motivazione extra da quel punto di vista.
Nell’immaginario comune i pugili sono dei tipi tosti e pronti a lottare fino all’ultimo. Ma hai mai avuto paura di salire sul ring?
Il pugile ha paura. Perché può succedere di tutto in quel momento: può essere che la preparazione non sia andata per il verso giusto, può ricevere un pugno che ti mandi al tappeto e metta fine all’incontro. Io trasformo la mia paura in adrenalina, in voglia di vincere e dare spettacolo.
Appunto, come descriveresti la tua boxe con un aggettivo?
Elegante, proprio come il mio idolo Alì.
Quanto è importante il proprio angolo per un pugile?
Fondamentale. Vede ciò che sul ring non si può vedere. Riesce a captare le sensazioni dell’avversario, i suoi punti deboli. Avere fiducia tra angolo e pugile è importantissimo, è anche un gioco di squadra da questo punto di vista. Ringrazio per questo mio zio e tecnico Gennaro Moffa e il mio gruppo sportivo, le Fiamme Oro, per tutto quello che fa per me e gli altri atleti.
Scaramanzie particolari?
Scaramanzie no, ma una routine: un saluto a mio padre toccandomi il petto per tre volte e poi un bacio al cielo.
Rapporto con la musica?
Assolutamente speciale. Ascolto un sacco di rap napoletano e rock, come i Maneskin: mi aiutano a salire carico sul ring.
Un tuo pregio e un tuo difetto?
Direi l’essere buono, che può essere sia un pregio che un difetto al mondo d’oggi. Noi pugili siamo anche delle persone umane. Non siamo bestie in un quadrato, piuttosto dei gladiatori che sanno il valore del rispetto e sanno riconoscerlo all’avversario dopo una battaglia.