E pensare che il tennis, a Matteo, sembrava non piacere. Fu Jacopo, il fratello minore, a convincerlo. “Dai, torna in campo, ci si diverte, fidati”. E così racchetta e palline son tornate a far sorridere ‘Berretto’, che al Circolo Magistrati della Corte dei Conti, nella sua Roma, iniziava a martellare con il dritto. Gli occhi attenti di Raoul Pietrangeli, quelli empatici e coinvolgenti del maestro Stefano Vannini. Matteo Berrettini è (ri)partito da lì, (ri)convincendosi che il tennis sarebbe stato la sua vita. “Era come se, in pochi giorni, avesse deciso”, ha spiegato più volte Vannini. Allenamenti, partite, ore in campo a lavorare sui colpi, sul gioco offensivo.
La voglia di vincere non è mai mancata, quella non si insegna, si può solo assecondare. Inevitabilmente. Nella prefazione al libro “Lemon Bowl, storie di vita e di tennis”, Berrettini scrive:
“Mi ricordo il rumore delle zip e i pavimenti bagnati sempre un po’ rossicci della terra portata dai campi.
Mi ricordo i campi, freddi, come solo i giorni di capodanno romani sanno essere. Mi ricordo il vento tagliente e il tubo di palle consegnato nelle mani di uno dei due partecipanti.
Mi ricordo la paura che saliva durante la camminata verso il campo designato e come tutto cominciasse a prendere forma dopo aver colpito la prima palla.
Il freddo non era più un problema, il vento si sentiva appena e le palle da gialle diventavano rosse.
Tutte le paure, i dubbi e le preoccupazioni sparivano e si trasformavano in adrenalina, voglia di vincere, di correre ed esultare.
Un avversario remava, uno mirava al rovescio, un altro ancora faceva le palle corte, poco importava, il mio istinto guidava tattica e tecnica, mentre la mia mente si concentrava a non disperarsi troppo per un punto perso e a immagazzinare energia positiva da un punto vinto.
Poteva durare ore, e la sera mi ritrovavo a casa, con la mia cena e con i miei pensieri: ‘Chissà come giocherà l’avversario di domani’, ‘Chissà su cosa ci concentreremo in allenamento domani…’.
Non importa quanto si perderà o quanto si vincerà: ci sarà sempre una pallina in più da colpire, una goccia in più da sudare e una sfida in più da affrontare”.
In queste righe vi è tutto lo spirito di Matteo Berrettini. Il modo di vivere il tennis. La voglia di vincere, ma ancor di più di competere, il rifiuto della sconfitta, la lucidità di capire gli istanti (dentro e fuori dal campo); il puro gusto nel vivere i momenti tennistici, sia belli che difficili. Perché la sfida, continua, è parte fondante del percorso.
Dal 2008 a oggi sono passate tante stagioni, alcune belle, altre meno. Nel frattempo Matteo ha compiuto 28 anni, è cresciuto, ha vissuto esperienze tennistiche e umane che l’hanno forgiato, modellato. Ha vissuto la meraviglia per anni, insieme a Vincenzo Santopadre, che l’ha portato in finale a Wimbledon (e a Madrid), a vincere 7 titoli ATP, a esaltarsi e far sognare gli appassionati. Poi gli infortuni, il buio, la depressione, una lenta (e fortemente voluta) risalita. Un altro titolo, l’ottavo, a Marrakech, il più bello e significativo di tutti. Le mani sul volto di Matteo, il sorriso dell’amico (ancor prima che coach) Alessandro Bega che racconta molto.
Buon compleanno Matteo, con la speranza che il martello possa continuare a colpire sui campi di tutto il mondo, ma soprattutto sognando che serenità e consapevolezza facciano parte di ogni singola giornata.
Auguri, ti si vuole molto bene