Daniele De Rossi, capitan presente della Roma e pilastro della Nazionale Italiana, è alla sua diciassettesima stagione in giallorosso. Ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del ‘Corriere dello Sport’ (LEGGI QUI) parlando del suo passato e futuro nella Capitale svelando anche qualche retroscena della sua lunga carriera dedicata (per ora) ad una sola maglia. “Vincere a Roma è difficile perché ci sono società più potenti a livello economico, con più storia alle spalle – ha esordito il centrocampista – per quel che riguarda le vittorie, e, lo sappiamo, vincere aiuta a vincere. La Juve in questi anni ha avuto uno strapotere finanziario certo, grazie allo stadio ma anche per come hanno gestito il capitale umano di cui disponevano. E si sono tolti di dosso l’immagine dell’ultima gestione, che era stata vincente ma aveva delle macchie gigantesche sul groppone”.
E’ all’ordine del giorno come sempre il tema dell’ambiente romano che secondo qualche critica sarebbe influente nei risultati non sempre ottimali dei giallorossi: “Negli anni mi sono convinto che non sia così determinante come pensavo quando ho iniziato. Sai «Oddio le radio hanno massacrato quel giocatore…», sì ma poi non vanno in campo le radio, vanno i giocatori.Certo, le radio, i giornali, l’estrema passione che c’è in città ogni tanto portano a superare i limiti. Secondo me hanno fatto un danno, hanno stravolto quel senso di romanismo che esisteva un tempo. Il romanista prima difendeva sempre un altro romanista, difendeva il proprio giocatore anche se era il più scarso. Era proprio una famiglia, qualcosa che univa tutti quanti perché «noi siamo romanisti, noi siamo romani, noi siamo una cosa diversa da voi». Adesso c’è una facilità nel dividersi per qualsiasi cosa che se non ha portato meno punti in campo sicuramente non ha aiutato a vivere meglio quello che si faceva”.
Ma qual è la causa di questa tendenza? De Rossi non ha dubbi: “Si tende a supportare le proprie idee sino alla morte. Se io ho detto nel 2006 che De Rossi è scarso io devo accompagnare questa mia teoria fino alla morte. Nessuno accetta serenamente di aver sbagliato. Credo che sia così un po’ in tutte le cose e penso che oggi i social network abbiano aiutato a tenere la gente un po’ più fissa sulle proprie idee. Quello che dicevi una volta uscito finiva, adesso è scritto, è lì, quindi chiunque ti può portare il conto di quello che hai detto. Però la chiusura del discorso è che si può vincere anche in un ambiente così complesso. Non voglio e non cerco scuse”.
Daniele De Rossi concluderà la sua carriera a Roma come Francesco Totti? “Non lo so – ha spiegato – Ho sempre pensato che sarebbe molto bello se io finissi a Roma. Mi piacerebbe vivere, con le dovute proporzioni, una giornata come quella che ha conosciuto Francesco il 28 maggio. Sarebbe bello vivere un saluto così intenso con i tifosi, anche per me. Non so quando, non so come. Allo stesso tempo però avverto forte il desiderio di vivere un’esperienza altrove. Anche perché sedici anni di Roma sono come trentadue anni da un’altra parte, sono impegnativi, te li senti addosso. Ringraziando Dio non fisicamente perché sto vivendo forse le migliori stagioni della mia carriera. Ma la pressione è eccessiva, spesso”.
Infine ha rivelato: “Io un’esperienza fuori, lontano, penso che vorrei viverla, che dovrò viverla. Sinceramente avevo deciso di farla fin dall’anno scorso: c’è stato un periodo lungo in cui non avevo contatti con la società per il rinnovo. L’offerta più grossa era quella di un club italiano. Ma, come si dice, non mi ha retto la pompa: non me la sentivo di tradire la città e i tifosi. Probabilmente se fosse arrivato un club europeo o americano – non è un segreto che uno dei miei sogni è andare a fare lì un’esperienza di vita e di calcio – probabilmente oggi non saremmo qui”