Dalla semifinale del Roland Garros alla finale di Wimbledon. La sostanza non cambia. Quando a scontrarsi sono Novak Djokovic e Carlos Alcaraz, infatti, il mondo del tennis inevitabilmente si ferma. Il Centre Court dell’All England Lawn Tennis & Croquet Club di Londra (a partire dalle ore 15.00 italiane) si prepara ad essere teatro del terzo capitolo della rivalità tra il veterano serbo ed il giovane spagnolo. Fino ad oggi si sono scontrati soltanto sul rosso. Carlitos nel maggio dello scorso anno ha prevalso al tie-break decisivo nel penultimo atto del Masters 1000 di Madrid.
Nole si è rifatto poco più di un mese fa in quel di Parigi, dove ha disposto in quattro parziali di un avversario divorato dalla tensione e dai crampi a partire dalle battute iniziali del terzo. Se nella capitale francese quasi tutti davano per favorito l’allievo di Juan Carlos Ferrero, stavolta la situazione è ben diversa. Djokovic, infatti, non perde sul campo principale di Church Road da ben dieci anni. Vincendo agguanterebbe il suo ventiquattresimo Slam, alzerebbe al cielo l’ottavo Wimbledon (lo stesso numero di vittorie dello svizzero Roger Federer) e manterrebbe più che vivo il sogno di completare il Grande Slam a trentasei anni suonati.
Per non farsi mancare qualcosa si riprenderebbe anche il trono del ranking mondiale. Record e numeri decisamente troppo ghiotti per pensare che uno come lui possa lasciarseli sfuggire di mano. Eppure questa finale, nonostante penda in maniera considerevole dalla parte del serbo, sarà tutto meno che scontata. Alcaraz, infatti, si è presentato a Wimbledon da vincitore del Queen’s, dove ha ribadito a chiare lettere di aver smaltito in tempi rapidi la delusione per l’inaspettato esito della trasferta parigina. Anche lui, al pari di Nole, non è che si giochi proprio poco in questa sua terza finale a livello Slam.
Vincendo bisserebbe il successo ottenuto lo scorso anno agli US Open diventando il più giovane trionfatore nella storia dei Championships dopo il tedesco Boris Becker e lo svedese Bjorn Borg. I margini per poter credere al miracolo in realtà ci sono. Lo spagnolo, così come in Francia, ha mostrato un picco di gioco più elevato rispetto a Djokovic dando una rapida occhiata al loro percorso verso la finale. Matteo Berrettini, il danese Holger Rune e il russo Daniil Medvedev (non esattamente tennisti qualsiasi) sono stati uno dopo l’altro annientati da Alcaraz. Questo ha mostrato una volta per tutte come a vent’anni non presenti nel proprio arsenale sostanziali punti deboli.
Il serbo, invece, è stato leggermente più balbuziente. Contro il polacco Hubert Hurkacz agli ottavi ha rischiato molto più di quanto non dica il punteggio. Nei quarti contro il russo Andrey Rublev ha lasciato per strada un primo set evitabile per i suoi standard. Pure la semifinale contro Jannik Sinner si è rivelata piuttosto bugiarda, con l’azzurro che si sarebbe meritato di restare in campo almeno un’oretta in più. Quello che conta, però, non è l’estetica ma la sostanza ed in questo Djokovic è forse il più grande di sempre. Un concentrato di fame e solidità, un giocatore impossibile da distogliere quando si fissa nella mente un obiettivo preciso.
Sicuramente un dato a vantaggio di Alcaraz c’è. Quest’ultimo, infatti, ha già sperimentato al Roland Garros cosa voglia dire condividere un campo così prestigioso con un avversario della portata di Nole. Difficile pensare che si palesino nuovamente crampi o tensioni stavolta per lo spagnolo, chiamato all’impresa di una vita in un palcoscenico di cui il proprio avversario riconosce alla perfezione ogni ciuffo d’erba. Come al solito, tuttavia, la curiosità è davvero tanta. Una rivalità a suo modo epica, in cui una vittoria dell’uno o dell’altro contribuirebbe a scrivere una pagina ad ogni modo indelebile di storia del tennis.