“L’idea dell’eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell’imbarazzo. […] Che significato ha questo folle mito?”. Con queste parole si apre il capolavoro senza tempo di Milan Kundera: L’insostenibile leggerezza dell’essere. Con queste parole si può descrivere quello che Andy Murray sta regalando al tennis in questi mesi. Lo scrittore francese voleva trovare un senso al fatto che l’uomo sia destinato, per forza di cose, a morire. Il tennista scozzese, quasi trentaseienne e con un’anca artificiale, è approdato nella prima finale del suo 2023, e lo ha fatto a Doha, superando ogni aspettativa e giocando ancora una volta contro il pronostico e contro il tempo, oltre che contro giocatori di tutto rispetto. 6-0 3-6 7-6(6) contro Jiri Lehecka: un incontro vivace e imprevedibile che si riassume nell’urlo liberatorio di Andy a fine partita. Ben cinque match point annullati e una grinta spaventosa. Murray non muore mai.
Il 2023 di Andy e quell’ultima finale
La stagione 2023 di Andy Murray si sta rivelando quella della nuova giovinezza per l’ex numero uno al mondo. Tuttavia, nei tornei che ha disputato finora, il britannico si è trovato a dover affrontare sfide logoranti, che continuano a metterlo a dura prova sul piano fisico e mentale. Più di 14 ore in campo in solo tre incontri agli Australian Open, più di 10 per raggiungere la finale in Qatar. E ogni volta che la spia della riserva si è accesa, lo scozzese ha trovato sempre nuove energie, in modi per certi versi inspiegabili. La prima impresa è stata contro Matteo Berrettini, che a racchette ferme era l’assoluto favorito dell’incrocio avvenuto al primo turno dello Slam ‘down under’, e invece si è arreso al guerriero britannico dopo una partita epocale. Proprio l’azzurro è stato l’ultimo avversario di Murray in una finale: quella di Stoccarda, lo scorso anno, quando vinse Berrettini non senza fatica. Per l’ultimo titolo di Sir Andy, invece, bisogna risalire al 2019, quando vinse ad Anversa battendo Wawrinka in finale. Nell’ultimo atto a Doha Murray si presenta da sfavorito, ma alla vigilia della semifinale aveva detto di voler vincere ancora almeno un titolo, e la fame potrebbe essere un elemento chiave per il coriaceo leone di Glasgow.
Una storia, e che storia
Andy Murray meriterebbe di essere protagonista di un romanzo. Tanto per iniziare, è scozzese, come grandissimi scrittori del calibro di Walter Scott o Robert Louis Stevenson. La Scozia è una terra in cui le leggende si inseguono e i cui abitanti sono famosi per la caparbietà con cui difendono le proprie idee; in fin dei conti, William Wallace e Sir Andy non sembrano così lontani. Proprio come Wallace, l’eroe nazionale con il kilt, Murray non sembra voler arretrare di un centimetro né rinunciare alla propria libertà, nel suo caso composta da una racchetta, un campo e un immancabile cappello. E poi come non citare, a proposito di Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekill e Mister Hyde. Andy oggi ha giocato con due facce: dominando il primo set, perdendo il secondo e ributtandosi in avanti con una rinnovata ferocia nel terzo parziale. Come i migliori protagonisti, poi, Murray non sembra proprio volerne sapere di vedere concludersi la propria storia. Solo quattro anni fa i giochi sembravano fatti: la protesi all’anca, il dolore che avrebbe dovuto impedirgli di arrivare a Wimbledon e il tributo riservatogli dall’Australian Open, torneo dove quest’anno, invece, Andy ha regalato ai lettori della sua storia un altro strepitoso capitolo. Come un personaggio di Kundera, Murray ha dimostrato di voler restare attaccato alla vita ad ogni costo e di non volersi arrendere allo scorrere inesorabile del tempo. La storia dello scozzese potrebbe essere l’ispirazione per un grande libro su un personaggio affamato di vita e con un’anca metallica, ma per Sir Andy la parola fine sembra ancora un lontano miraggio.