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Calcio, Michele Padovano parla dopo l’assoluzione: “Mi hanno tolto 17 anni di vita”

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“Diciassette anni sono una vita. La giustizia è stata lenta, ma non ho mai smesso di crederci. E oggi voglio dedicare questo risultato a mia moglie e a mio figlio, che mi hanno accompagnato in questa battaglia. Devo tutto a loro e ai miei avvocati, Michele Galasso e Giacomo Francini”. Parla così – in un’intervista al Corriere della Sera -, Michele Padovano al termine di una vicenda processuale che lo ha visto finire in carcere per tre mesi e che si è chiusa – dopo 17 lunghissimi anni – con l’assoluzione della Corte di Appello di Torino dall’accusa di aver finanziato un traffico di droga dal Marocco.

Dalla vittoria in Champions League con la maglia della Juventus ad affrontare un qualcosa di neanche lontanamente immaginabile: “Sono stati anni difficilissimi e in alcuni momenti ho avuto il timore di non farcela. In cuor mio sapevo di non aver fatto ciò di cui ero accusato, ma ho anche dubitato di poterlo dimostrare. La prima volta i giudici non mi hanno creduto e quella condanna a 8 anni è stata un colpo al cuore – spiega Padovano -. Quando sono venuti ad arrestarmi ho pensato che fosse uno scherzo. Non riuscivo a crederci. La mia famiglia è stata distrutta, ma insieme abbiamo trovato la forza di reagire. Ho perso il lavoro e ho dovuto dire addio al calcio, la mia vita”.

Ho perso tutto quello che avevo: proprietà, soldi, fama – prosegue l’ex calciatore -. Cercavo lavoro e a parole erano tutti gentili e collaborativi, ma nei loro occhi leggevo il pregiudizio. Molti si spacciavano per amici, ma non lo erano. Sono stato tre mesi in carcere. I primi dieci giorni a Cuneo: non potevo parlare con nessuno e nemmeno farmi una doccia. Sembrava avessero arrestato Pablo Escobar. Poi mi trasferirono a Bergamo e lì incontrai una grande umanità. All’inizio pensavo fossero gentili perché ero Padovano. Invece lo erano con tutti. Gli altri detenuti hanno capito subito che quello non era il mio posto. Ero spaesato e il mio compagno di cella mi ha aiutato molto. Ancora oggi ci scambiamo qualche messaggio”.

Due persone gli sono sempre state vicine: “In due hanno continuato a credere in me: Gianluca Vialli e Gianluca Presicci. Quando mi hanno arrestato, Vialli chiamava tutti i giorni mia moglie. Era una persona e un amico, so che oggi sarebbe felice per me. Mi manca molto. Questa storia mi ha insegnato i veri valori della vita: stare in famiglia, prendersi cura delle persone a cui vuoi bene, coltivare rapporti sinceri. Voglio tornare a vivere, senza recriminare sul passato. Adesso è il momento del riscatto”.

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