Come nel 2015, una vittoria nel derby col Torino può essere la prima pietra posata dalla Juventus per risalire. Il punto più basso all’epoca fu la sconfitta col Sassuolo nell’infrasettimanale, quest’anno è ancor più basso, è abissale, è il ko con il Maccabi Haifa. Si riparte dal disastro in Israele, si riparte con uno 0-1 targato Dusan Vlahovic (un altro che dopo due partite francamente infime può finalmente rinascere) e da qui si può costruire la rimonta. Un piccolo passo, quantomeno per non far provare più vergogna ai tifosi e al presidente.
Sette anni fa, però, era tutta un’altra storia: non c’erano rivali così agguerrite, la squadra era decisamente più forte ed esperta a livello internazionale, Allegri era al secondo anno (in assoluto) e doveva evitare di finire anzitempo l’avventura bianconera. Ora non è pungolato da Agnelli, che lo conferma a oltranza, ma ha deciso di mischiare un po’ le carte. Dentro Kean, difesa a tre, spazio ai fedelissimi e tanta fisicità in campo e meno tecnica e tocchi.
Ed è così che i bianconeri hanno giocato una partita di grande attenzione, di cuore, di compattezza. La difesa arcigna con due terzini schierati come braccetti e due esterni a tutta fascia ha funzionato, ma non è certo una partita che può dare indicazioni definitive. Una soluzione importante, ma bisognerà svoltare ulteriormente dal punto di vista della mentalità e del predominio del campo, perché senza qualità si può vincere una partita, un derby, un big match, ma non si va chissà quanto lontano.
Intanto, il derby della Mole tra squadre in crisi è dei bianconeri e può dare tante energie aggiuntive. Un booster di negatività, invece, per il Toro, che gioca la solita partita positiva, ma ancora una volta manca davanti e finisce per prendere gol. Una squadra equilibrata ma spuntata, un po’ abbacchiata forse per quel che si vede in campo. Serve anche per i granata la svolta, deve arrivare e presto, perché la classifica rischia di accorciarsi.