Il rugbista Roberto Canessa aveva 19 anni il 13 settembre del 1972 quando l’aereo che trasportava lui e i suoi compagni di squadra dell’Old Christians si schiantò sul massiccio montuoso vicino a Glaciar de las Lágrimas a quota 4.000 m in uno dei punti meno accessibili della Cordigliera delle Ande. A bordo, 40 passeggeri e cinque membri dell’equipaggio. Furono in sedici a sopravvivere, tutti tra un’età di 18 anni e 25 anni. Fu l’inizio di un’Odissea che costrinse i superstiti a rompere uno dei tabù primitivi della razza umana: il cannibalismo. Non solo. Per sopravvivere l’acqua era ottenuta dalla neve messa a sciogliere sulle lamiere mentre la plastica dei finestrini era utilizzata per dei rudimentali occhiali di protezione dal sole. A complicare una situazione al limite dell’apocalittico furono le valanghe.
Quando i soccorsi sembravano ormai essersi fermati, fu Roberto Canessa, con una eroica spedizione a valle, a salvare se stesso e il gruppo. Il viaggio a piedi e con i pochi viveri rimasti durò dieci giorni. Poi l’incontro con un pastore: “Vengo dalla montagna, un aereo è caduto mesi fa, cammino da dieci giorni”. Gli ultimi superstiti furono salvati il 23 dicembre 1972, più di due mesi dopo l’incidente. Il ritorno a casa fu anche un processo del mondo cattolico per la decisione più difficile della loro vita. Oggi, 50 anni dopo, sul punto dello schianto, resta la fusoliera dell’aereo e una croce in memoria delle vittime. Un museo a Ciudad Vieja, nei pressi di Montevideo, è stato inaugurato con i ricordi e i reperti dell’incidente.