Difficile, praticamente impensabile, fermarsi a riflettere sulla carriera di Serena Williams senza ammettere l’enorme influenza esercitata su di essa dalla sorella Venus. Quest’ultima incarna la prima giocatrice afro-americana ad adottare quella strategia di demolizione e rifiuto totale della difesa in grado d’indicare la strada alle generazioni future. Fin da piccola, Serena la guarda come un modello da imitare attivamente in ogni mossa, persino nella scelta dei piatti da ordinare al ristorante quando si esce a cena fuori con la famiglia. L’altro sentimento prevalente (specialmente in tenera età) è l’invidia, un senso profondo di abbandono e tradimento per essere lasciata a casa mentre Venus, di un anno più grande, è già intenta a colpire palline sul campo d’allenamento.
Il rapporto è bello, genuino ma allo stesso tempo ambivalente. Tua sorella è un esempio, una ‘guardia del corpo buona’ nelle situazioni di pericolo ma anche colei di cui ti sei leggermente stufata di vivere nell’ombra. Per Serena Williams la presa di coscienza della propria persona si palesa relativamente tardi, intorno al compimento del diciottesimo anno d’età. Qui rivendica apertamente la sua identità per liberarsi definitivamente delle insicurezze e scoprire per davvero sé stessa. In un istante s’incastonano al loro posto tutti i tasselli del mosaico di papà Richard, che anni prima decide di trasferire tutta la famiglia dal Michigan a Compton (Los Angeles) per modellare la tennista più forte del mondo (Venus) e far crescere alle sue spalle colei che nel giro di qualche anno la scalzerà dal vertice (Serena).
La scelta di uno dei sobborghi più pericolosi, violenti e carichi di morte degli Stati Uniti non è casuale. Il suo intento è quello di far allenare le proprie figlie in un ambiente ostile per inculcarle quello spirito combattivo e rabbia animalesca indispensabili per poter azzannare il tennis mondiale. Il suo pensiero è proiettato costantemente ad un ardente desiderio di rivincita nei confronti dei bianchi, quella che può prendersi solamente con l’aiuto dei corpi di colore ed i colpi sempre più penetranti di Venus e Serena. La prima non batte ciglio né fa domande provando per il papà un amore incondizionato. La seconda non vede scelte di fronte a sé. Deve seguire la sorella maggiore, sua fonte d’ispirazione da quando è nata.
L’invidia, piano piano, lascia spazio ad un senso di motivazione mai provato prima, presupposto di un dominio sportivo che la conduce a vincere ventitrè titoli dello Slam in singolare. In campo, le sorelle Williams hanno il merito di spostare i confini di questo sport. Insieme riescono a portare il tennis in un salotto di persone che non sono solite seguirlo come disciplina. In un momento storico in cui fioccano giocatrici dalla tecnica e variazioni sopraffine, Serena e Venus trasformano le loro partite in un corpo a corpo di stampo pugilistico. La violenza dei loro colpi assume dei connotati quasi maschili. In breve tempo diventano le promotrici di quel ‘power tennis’ che teorizza la conclusione dello scambio in due o tre colpi facendo leva sull’estremizzazione della fisicità e sul perenne soffocamento dell’avversaria per non ritrovarsi costretti a difendersi.
Gli schiaffi che Richard si è dovuto prendere da ragazzo, loro li danno alle avversarie, quasi sempre stordite al loro angolo, investite da una potenza di palla fino ad allora sconosciuta. Le uniche volte che testano sulla propria pelle cosa significhi è quando sono in campo l’una contro l’altra. Qui sperimentano una strana sensazione, quella di giocare non contro sé stesse come al solito bensì contro una tennista che conosce il modo di metterti in grave difficoltà. La loro epopea inizia a prendere forma nel lontano gennaio del 1998 (secondo turno degli Australian Open) per terminare solamente nel settembre del 2018. In quest’ultimo derby in famiglia, Venus racimola solamente tre giochi nel terzo turno degli US Open.
Alla fine i numeri sono nettamente dalla parte di Serena Williams (18-12), che ha un vantaggio piuttosto considerevole anche nel computo delle finali Slam (7-2). La sua iniziale inferiorità lascia ben presto spazio ad un ribaltamento dei valori sempre più marcato, come aveva predetto quel ‘pazzo scellerato’ di Richard tra una sparatoria e l’altra sui campetti di Compton. A dire la verità, in trenta scontri diretti non se le danno mai veramente di santa ragione. Si vogliono troppo bene, si rispettano troppo per farsi davvero del male e mettere sul terreno di gioco la grinta necessaria.
A mancare non è la competitività ma quel piacere che si nutre quando ti rendi conto che la tua avversaria è alle corde e bisogna solamente inferirle il colpo definitivo. Anche loro umane se messe l’una contro l’altra, riscoprono la loro immortalità in doppio, specialità dove sugellano la loro unione con quattordici titoli Slam e tre allori olimpici. Questo legame, puro e contraddittorio inizialmente, spontaneo ed ammirabile dopo il raggiungimento della maggiore età, per Serena Williams è (e continuerà ad essere) una costante lungo tutto il percorso. Perchè l’ossessione del successo e di diventare numero uno al mondo, in fin dei conti, mai potrà scalfire l’amore e la complicità tra due sorelle.