La finale femminile di Wimbledon 2022 tra Ons Jabeur ed Elena Rybakina (non prima delle ore 15:00 italiane sul Centre Court) è un inno alla diversità. Una combinazione di stili e soluzioni differenti che sottintende in primis la maniera opposta di concepire una carriera. La tunisina è una sorta di capopopolo. Nei suoi occhi è perenne quel desiderio ardente di voler portare sempre più in alto non solo il proprio Paese ma un’intera cultura. Per lei giocare a tennis è solo un modo come un altro per dare risalto alla sua gente, di cui parla come una famiglia e da cui è idolatrata in qualsiasi parte del mondo si trovi a gareggiare. La kazaka è invece l’esempio di una pratica ormai molto ricorrente in questo sport.
Attratta da maggiori opportunità ed una federazione più ricca, infatti, quattro anni fa ha preso la decisione di abbandonare la bandiera della Russia. Nessuno può naturalmente sindacare una scelta simile. Come da lei spiegato in conferenza stampa, la sua famiglia non aveva tante possibilità economiche. E’ però condivisibile affermare che quel romanticismo riscontrabile nella sua avversaria in lei va un po’ scemando da questo punto di vista. Ma il contrasto tra Jabeur e Rybakina è ancora più tangibile sul campo.
La prima è il prototipo di un tennis ormai lontano, fatto di variazioni, ‘affettate’ e poetiche discese a rete. La seconda incarna a pieno la nuova generazione, in cui è predominante la necessità di chiudere lo scambio in massimo due/tre colpi. Negli scontri diretti conduce la tunisina per 2-1 ma, mai come per questa finale di Wimbledon, dare un pronostico può essere fuorviante. Per ranking, esperienza e predisposizione ai prati, Jabeur appare leggermente favorita. Per quest’ultima sarà bene replicare il gioco espresso contro l’amica Tatjana Maria in semifinale.
Un match ubriacante in cui chop di dritto, smorzate e slice millimetrici si sono susseguiti con una regolarità quasi commovente. Difficilmente però che la partita possa seguire lo stesso copione tattico. Rybakina farà di tutto per cercare di non allungare i punti e cadere nella tela tecnica della numero due del mondo. La kazaka è la tennista che fino ad oggi ha mietuto più ace in stagione (oltre duecento). La sua velocità di palla al servizio è nettamente più alta rispetto a Jabeur, che però in generale si lascia preferire sia in risposta sia soprattutto negli spostamenti laterali.
Non trascurabile l’aspetto emotivo. Si affrontano due giocatrici che non hanno mai fatto una finale Slam, una cosa che a Wimbledon non succedeva dal 1962. La sensazione è che sia la tunisina a poter essere penalizzata da questo fattore, lei che dovrà riuscire a portare sulle spalle il peso di un intero Continente. Rybakina, invece, sembra totalmente estranea a qualsiasi sentimento nonostante i ventitre anni. Una glacialità quasi imbarazzante che lascia presagire una sorta d’indifferenza anche qualora sia chiamata a compiere il decisivo passo verso il traguardo.
La speranza è che possa essere una finale combattuta. Soprattutto sul circuito femminile, infatti, difficilmente negli ultimi tempi due tenniste hanno saputo giocare contemporaneamente il loro miglior gioco quando la posta in palio è diventata troppo ingombrante da gestire. A Wimbledon la tradizione non incoraggia. Dal 2007 solamente in due occasioni l’ultimo atto si è risolto al set decisivo. La diversità ed il contrasto tra Jabeur e Rybakina, tuttavia, impone a pensarla al contrario. Comunque vada, questa finale passerà alla storia soprattutto per un altro fattore lungamente esposto da tutti nel corso degli ultimi giorni. Nell’edizione di Wimbledon contraddistinta dalla messa al bando di russi e biellorussi, sul Centrale dell’All England Club si giocherà il titolo una ragazza nata e cresciuta a Mosca.