La nona tappa del Giro d’Italia 2022 avrebbe dovuto stravolgere la classifica generale e così è stato. Si partiva da Isernia per poi giungere sul Blockhaus dopo 191 km e oltre 5000 metri di dislivello, per giunta con un caldo asfissiante e senza un chilometro all’ombra. Si è tornati a scaraventarsi addosso le borracce con l’acqua in maggio, come non accadeva da anni.
È stata una tappa che detto molto in ottica presente e futura. Giorni fa avevamo preannunciato un Diego Rosa in palla, pronto a tornare a fare quello che gli è sempre riuscito, meno che negli ultimi due anni, andare forte in salita. Il 33enne infatti è uno dei promotori della fuga iniziale e dopo che in mattinata aveva in saccoccia solo 3 punti validi per la classifica scalatori, a fine giornata, complice la conquista di 80 su 125 punti a disposizione, indossa la maglia di leader del miglior grimpeur.
Il suo tentativo, insieme a quello di altri otto coraggiosi (Jonathan Caicedo, Filippo Zana, Felix Gall, Nans Peters, Eduardo Sepulveda, Natnael Tesfatsion, James Knox e Joseph Dombrowski), si esaurisce però ai piedi dell’ascesa finale: il Blockhaus. A sentire questo nome però viene in mente che possa essere una salita alpina, magari austriaca o svizzera, e invece si trova in Abruzzo, terra fin troppo poco conosciuta ma che mette insieme mare e montagna ed è un luogo molto adatto a chi vuole allenarsi e divertirsi in bicicletta.
È qui che nasce la nostra storia di giornata, che vede protagonista il vincitore della nona frazione, l’australiano Jai Hindley. Hindley ha 26 anni e nel 2020 si è fatto conoscere dall’intero mondo del ciclismo e non grazie alla vittoria di tappa al Giro sù, in cima ai Laghi di Cancano, oltre ad essere arrivato a 39″ dalla vittoria finale. Sembrava l’inizio di una folgorante carriera, ma il 2021, concluso senza vittorie, lo ha messo di fronte ad una scelta: allenarsi più duramente in vista del 2022.
La scelta pare pagare perché oggi, dopo una salita finale corsa a rincorrere gli avversari, all’ultimo chilometro li aggancia e ai -300 dall’arrivo lancia una volata tanto spropositatamente lunga quanto efficace. Nessuno può nulla di fronte al colpo di pedale dell’australiano che mette in riga due corridori molto più veloci di lui: Romain Bardet e Richard Carapaz. I due più blasonati rivali hanno percorso l’ultima salita sempre in testa, insieme a Mikel Landa, ma al momento di sferrare l’attacco decisivo finale, si sono lasciati riprendere da Hindley, Joao Almeida e Domenico Pozzovivo, convinti di potersi giocare la tappa allo sprint finale.
Hanno fatto male i conti perché Jai conosce questa salita come pochi altri. Infatti nel 2015, non ancora ventenne, Hindley si trasferisce in Italia, in Abruzzo, a casa di Umberto “Umbertone” Di Giuseppe, figura di riferimento del ciclismo abruzzese e tecnico della Aran Cucine, la prima squadra della sua carriera.
Umbertone lo cresce come un nipote e gli insegna tutti i trucchetti delle salite abruzzesi, tra le quali il Blockhaus, che in quest’edizione è l’arrivo in salita più tosto. Hindley quindi, sulla salita finale, ha lasciato sfogare tutti i propri concorrenti e quando ha visto un’esitazione è partito, senza essere più ripreso da nessuno, come gli ha insegnato Umbertone più di 7 anni fa. La vittoria dell’abruzzese-australiano ha fatto sì che la classifica di quest’edizione, non ancora esplosa definitivamente nonostante i primi botti odierni, sia cortissima. Sono infatti 7 i corridori in meno di 30″.
In rosa c’è ancora Juan Pedro Lopez Perez, che è arrivato al traguardo stremato, ma non appena ha visto il suo ritardo ha alzato le braccia al cielo ed è scoppiato in lacrime, conscio di non aver ancora perso il simbolo del primato, che si godrà domani, nel secondo giorno di riposo della Corsa.
Nella giornata odierna però, ci sono stati anche tanti colpi di scena, in positivo e in negativo.
Di positivo c’è che tre “ragazzi” che insieme fanno 120 anni, hanno dimostrato ancora una volta al mondo intero il perché li chiamano fuoriclasse. L’età infatti è soltanto un numero per Domenico Pozzovivo, Vincenzo Nibali e Alejandro Valverde, rispettivamente 6º, 8º e 9º al traguardo e davanti ad altri nomi altisonanti che, secondo molti addetti ai lavori, avrebbero dovuto giocarsi le chance di podio e addirittura vittoria in questo Giro.
Pozzovivo fino a gennaio era senza squadra, ma la Intermarché Wanty-Gobert ha creduto in lui con un contratto annuale e gli ha affidato i gradi di capitano in questo Giro. Nibali e Valverde invece diranno addio alle corse a fine stagione, e lasceranno un vuoto a dir poco enorme nell’intero gruppo. Forse i due corridori più completi della loro generazioni, in grado di vincere e salire sul podio in tutti e tre i Grandi Giri oltre a vincere classiche e medaglie mondiali.
Tirando una riga, poi ci sono le note negative. Simon Yates è la prima. Complice probabilmente la botta al ginocchio rimediata nella tappa dell’Etna, come il primo caldo, ma arrivare a 11’15” dai migliori è sintomo che qualcosa non è andato nella preparazione del Giro del britannico. Dispiace, perché all’inizio era considerato il co-favorito per la vittoria finale insieme a Carapaz.
Un’altra nota molto negativa riguarda Giulio Ciccone. L’abruzzese, nella tappa di casa, è arrivato ad oltre 9′ e probabilmente dovrebbe svestire i panni di uomo di classifica e indossare nuovamente le vesti di cacciatore di tappa, soluzione molto più congeniale alle sue caratteristiche.
Si va dunque al secondo giorno di riposo, dove i corridori e le rispettive squadre si siederanno per appurare la tattica della seconda settimana, di solito, non lo spartiacque della corsa, ma un momento importante per tastare la preparazione fatta in vista di essa. Al rientro, martedì 17, ci sarà la decima tappa: da Pescara a Jesi, lunga 196 km, ma non con il miglior profilo possibile data l’innumerevole quantità di muri presenti tra Abruzzo e Marche.
Prima metà di gara pianeggiante lungo l’Adriatico e poi deviazioni interne. Si passerà anche da Filottrano, paese del compianto Michele Scarponi, per omaggiarlo. L’ultima asperità sarà a 8 km dal traguardo dove potrebbe partire qualcuno, anche questa, classica tappa da finisseur. Ma l’aspetto più importante è proprio il saluto a Michele, uomo, prima che ciclista, che ha fatto tanto bene all’intero circuito, dimostrando che, anche se si nasce gregari, si può diventare prima campioni e poi leggende.