“Ho la crisi dei 30 anni prima di farli. Adesso sono uno dei vecchi“. Parole da veterano quelle di Marc Márquez che va a caccia del settimo mondiale MotoGP. Si parte il 6 marzo in Qatar, con una Honda rivoluzionata. “Quando vedi il cambiamento su una moto dall’esterno, è perché dall’interno è ancora maggiore – racconta in una intervista al Pais – Negli anni precedenti, mentre stavano vincendo, le modifiche alla moto erano piccole. Ma quando c’è una mancanza di risultati in un marchio come Honda, arrivano grandi cambiamenti. All’inizio non mi sentivo per niente a mio agio. Ma già in Indonesia, negli ultimi test pre-stagionali, abbiamo iniziato a portare la moto nel mio campo”.
Grande attesa per il rientro dopo “tre mesi di inattività. E quando dico inattività, intendo né bici, né moto, né altro”. Per questo motivo “non sarò al 100% in Qatar, non come vorrei, ma sarò in condizioni ottimali per iniziare bene la stagione. L’anno scorso mi è costato molto“. Ma spiega: “Andare in moto non si dimentica, è come chi sa sciare, che da una stagione all’altra fa la prima discesa con più calma e poi se ne va. Ma avevo un limite fisico dovuto al mio braccio. Quando il dolore aumentava, la forza diminuiva e non potevo guidare come volevo. E quando ho iniziato a godermela un po’, è arrivata la lesione all’occhio, che mi ha tenuto fuori per altri due mesi e mezzo. Grazie al dottor Sánchez Dalmau e alla sua pazienza, sono riuscito a guarire. E ora penso al braccio. Perché il braccio non l’ho dimenticato. Ecco perché andrò a vivere a Madrid. Farò un grande cambiamento nella mia vita. Ho dovuto sacrificare alcune cose. Nonostante Cervera e la mia gente siano sacri, ho deciso di spostarmi per tornare a quel punto, per dare un’aria fresca alla mia vita e per trovare la strada che mi riporterà a quella guida e quel divertimento in moto che, se arrivano, porteranno anche i risultati“. Marquez confessa che se potesse, “se avessi una macchina del tempo”, “cambierei quella decisione di tornare su una moto così in fretta, quattro giorni dopo l’intervento. Ho imparato che ci sono molte carriere, ma il corpo è solo uno. Se ti prendi cura del tuo corpo farai molte gare. Ho preso quella decisione perché nessuno mi ha fermato, perché i medici mi hanno detto che potevo farlo. Ma quello che è successo è successo. E mi sono rotto di nuovo“.
Dopo lo stop, anche il tunnel della depressione: “Nemmeno i medici sapevano se sarebbero passati tre mesi, sei, o se non sarei mai guarito e non avrei mai più guidato una moto. Arriva un punto in cui il tuo corpo si spegne. Non è che ti senti sconfitto, ma ti lasci andare. Non potevo fare niente. Poi è comparsa l’ansia, non mangiavo, perché non avevo fame… E il corpo ha reagito: sono dimagrito, avevo il viso coperto di brufoli… Ora è appena un mese che guido la mia moto, ho iniziato ad aumentare di peso, ad avere un bell’aspetto. Il primo mese, lo scorso novembre, non riuscivo nemmeno a guardare la tv. Non riuscivo a camminare bene, né a prendere la macchina… Vedevo due immagini tutto il giorno, sovrapposte, sfocate, mi davano le vertigini. Non potevo condurre una vita normale. Volevo essere curato per poter avere una vita normale. Quella era la mia priorità“. Poi la conclusione: “Per me la pressione sportiva, per ottenere risultati è un piacere. È una bella pressione. La pressione o l’ansia possono essere create da un infortunio che ti fa non sapere cosa accadrà alla tua vita. Capisco la famiglia che lotta e soffre ogni mese per portare avanti i propri figli. La rivalità è il mio lavoro e il mio passatempo. Posso perdere un titolo, ma se non lo vinco, che succede? Niente. La vita va avanti”.