“Questo calcio non mi appartiene più, i giocatori si stanno allenando più in nazionale che con noi. Non è più sport ma uno show che sta spremendo soldi agli appassionati. Sono vecchio per questo tipo di calcio”. Maurizio Sarri apre così la conferenza stampa di vigilia di Lazio-Inter, match valevole per l’ottava giornata del campionato di Serie A 2021/2022. Uno sfogo sincero, parole dure che non possono lasciare indifferenti: un grido d’aiuto per un calcio che ormai va sempre più verso la direzione del business. Perché gli interessi economici sono tanti, forse troppi, e l’aspetto sportivo è ormai relegato in secondo piano. Il punto focale del discorso è il calendario: sette partite in venti giorni per le squadre che giocano le Coppe e negli altri undici giorni i giocatori vanno in giro per il Mondo per giocare i match delle rispettive Nazionali, talvolta partite inutili come la Nations League.
Un tour de force che non permette a nessuna squadra di poter lavorare con serenità visto che poi a fine anno ci sono Mondiali o Europei di turno, quest’anno ci sono state anche le Olimpiadi. Giocatori che giocano ininterrottamente da due anni senza un attimo di sosta. Tutto giusto. Ma questo avveniva anche nel momento del massimo splendore del Napoli di Maurizio Sarri: prime due giornate di campionato e poi la sosta per le Nazionali. A settembre, ottobre e novembre sette partite in venti giorni e nuovamente le soste. Sempre stato così nell’ultimo decennio. Non solo. Sarri viene dalla Premier League e, sa bene, come in Inghilterra ci sia addirittura una Coppa in più e turni, sotto le festività natalizie, con partite ravvicinate con meno di 48 ore. Altro che le sessanta ore che sono trascorse tra Lazio-Lokomovi Mosca e Bologna-Lazio. Il calcio è ormai così da tempo, urge una riforma: diminuire le squadre nei campionati e magari concentrare il periodo delle Nazionali in un’unica sosta.