Ciclismo

Ciclismo, Milano-Sanremo 2017: 5 cose da sapere sulla Classicissima di primavera

Gimondi vince la Milano-Sanremo nel 1974

Una corsa che appartiene al mito. La Milano-Sanremo, con i suoi quasi trecento chilometri di gara, è stata da sempre una delle immagini più gloriose del ciclismo made in Italy. Dal 1906 e dalla vittoria di Lucien Petit-Breton, fino ai nostri giorni, quella linea ondulata che unisce la capitale economica dello Stivale alla città dei fiori rappresenta l’inizio della primavera italiana, con il suo tempo instabile, con la sua carica di speranze. La Milano-Sanremo si racconta sempre come una bella favola e molte cose, forse troppe, l’hanno resa speciale. Noi proviamo a darvene una sintesi, mettendo nero su bianco quei 5 aspetti della Classicissima che proprio non si possono ignorare.

1. NICCOLO’ CAROSIO E LA MUSICA DA BALLO – Voce storica della radio, Niccolò Carosio dovette far ricorso a tutte le sue risorse quel 19 marzo del 1946. Fausto Coppi decise che non gli bastava solo vincere quella Sanremo, ma che bisognava assassinarla. E il cadavere della corsa morì dissanguato. Il Campionissimo e la Classicissima (i superlativi e il ciclismo sono sempre andati molto d’accordo) si affrontarono in una sfida impari. Alla fine, Coppi arriverà al traguardo con 14 minuti di distacco sul secondo classificato, il francese Lucien Teisseire. Carosio, spaventato da quello che sarebbe stato un monologo monstre di quasi un quarto d’ora in attesa degli altri corridori, pronunciò – forse suo malgrado – una delle frasi più celebri del giornalismo sportivo italiano: “Primo Fausto Coppi. E in attesa degli altri concorrenti, trasmettiamo musica da ballo”. Quale altro modo migliore per narrare di una manifesta superiorità?

2. SE GIRARDENGO AVESSE AVUTO IL GPS… – Negli anni Dieci-Venti, o era Girardengo o era Belloni. Non ce ne vogliano gli altri ciclisti che nel primo dopo-guerra si inserirono sporadicamente nell’albo d’oro della Sanremo: il primo dualismo della storia del ciclismo italiano si celebra al meglio proprio sulle strade che dalla Lombardia portano alla Liguria. Costante Girardengo, cantato anche in un pezzo di Francesco De Gregori, è arrivato a un soffio dallo stabilire il record di vittorie nella Classicissima. I suoi successi registrati ufficialmente sono sei, ma ce ne sarebbe un settimo. Quello del 1917, quando, arrivato da solo a Imperia, sbagliò strada e accorciò il percorso di 500 metri. La giuria decise di assegnare la vittoria proprio al suo avversario storico Gaetano Belloni. Sette volte, invece, fu Eddie Merckx a trionfare. Negli anni 60-70 non c’era ancora il GPS, ma la segnaletica era senz’altro migliore. Il belga può aggiungere ai suoi record imbattibili quello del maggior numero di vittorie nella Milano-Sanremo. Grazie anche a quei 500 metri in meno che tradirono Girardengo.

3. CIPRESSA, POGGIO E TUTTE QUELLE COSE CHE NON PIACCIONO AI VELOCISTI – La Milano-Sanremo è da sempre stata una corsa che ha fatto l’occhiolino ai velocisti. Le firme gloriose delle ruote veloci brillano tutte nel suo albo d’oro. Da Miguel Poblet a Roger De Vlaeminck, da Erik Zabel a Mario Cipollini, a Alessandro Petacchi, a Mark Cavendish. Ma c’è stata un’epoca in cui gli organizzatori cercarono disperatamente di arginare le ruote veloci (quella, cioè, tra gli anni ‘60 e ‘70, quando la velocità era qualcosa che non apparteneva al ciclismo italiano). Nel 1960 venne inserita l’erta del Poggio, nel 1982 la Cipressa, ultima e penultima asperità prima del traguardo di Sanremo. Le due salite hanno permesso, anche in anni più recenti, di vedere qualche arrivo in solitaria. Ma i velocisti, ormai, ne hanno preso le misure: la loro sfida più grande è stringere i denti sulle pendenze, riprendere fiato in discesa e lanciarsi in volata come se non ci fosse un domani.

4. DIRE SANREMO E’ FACILE. IL DIFFICILE E’ PIAZZARE IL TRAGUARDO – Si dice Milano-Sanremo e si dà per scontato che l’arrivo sia sempre lo stesso. Invece, nel corso degli anni, gli organizzatori hanno provato a modificare anche l’esatta collocazione della linea del traguardo. I punti in cui è stato piazzato lo striscione finale sono tre: corso Cavallotti (dal 1907 al 1948 e poi dal 1986 al 1993), via Roma (dal 1949 al 1985, dal 1994 al 2007 e dal 2015 a oggi) e il lungomare Italo Calvino (dal 2008 al 2014). La sostanza cambia molto e il riferimento è sempre alla discesa del Poggio: la distanza tra questo punto e il lungomare di Sanremo è di 3 chilometri, mentre scende a 2 con il traguardo in via Roma. Ovvio che, in quest’ultimo caso, il finale si presti a sorprese maggiori (con un chilometro in meno, gli sprinter fanno più fatica a raggiungere eventuali fuggitivi) ed è per questo che dal 2015 il traguardo in via Roma è stato riproposto a furor di popolo. E di spettacolo.

5. NON SOLO RUOTE VELOCI – Lasciando perdere i fasti gloriosi del passato, quando la specializzazione tra corridori era meno netta e per vincere contava solo essere i più forti, concentriamoci sugli ultimi diciassette anni. Dal 2000 in poi, le vittorie di velocisti sono state tredici. Ciò significa che il regno delle maestà dello sprint è stato interrotto, talvolta, da qualche azione tutta muscoli e fantasia. Paolo Bettini, per esempio, nell’anno di grazia 2003, riuscì ad andarsene sulla Cipressa e ad approfittare del lavoro del compagno di squadra Luca Paolini. E poi, poteva mancare il numero di Fabian Cancellara? Lo svizzero sorprese tutti nel 2008 con un’azione incredibile ai meno 2 chilometri dal traguardo. In più, anche Filippo Pozzato (2006) e Simon Gerrans (2012) riuscirono ad anticipare lo sprint, facendo vivere agli appassionati un finale al cardiopalma.

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