di Valeria Cardarano e Biancamaria Ciccarelli
Diego Occhiuzzi, classe ’81, campione della sciabola, non è mai stanco di sport. Dopo aver vinto 5 ori europei nelle competizioni a squadre, un oro mondiale a Mosca condiviso con Aldo Montano, Enrico Berrè e Luca Curatoli e una medaglia d’argento nella gara individuale alle Olimpiadi di Londra 2012, sta dando il massimo per poter staccare il pass per l’Olimpiade di Rio 2016, così da occupare uno dei due posti disponibili e volare in Brasile quest’estate. Quando non gareggia e non si allena Diego si rende socialmente utile: è presidente dell’associazione “Milleculure”, il cui impegno è volto a favorire e appoggiare i giovani che cercano nello sport un’alternativa alle condizioni problematiche che vivono i quartieri periferici di Napoli. Il forte legame con la sua città lo ha spinto a volerla migliorare, coinvolgendo anche altre eccellenze sportive campane: da Massimiliano Rosolino a Patrizio Oliva, dai fratelli Porzio a Ciro Ferrara. Nell’intervista esclusiva a Sportface.it Diego ci parla dei suoi progetti e dei suoi ricordi, viaggiando nel tempo con noi; ci rivela il suo amore per la sciabola, per la sua terra e anche per il Napoli, di cui è tifoso.
Diego, a Seul ti giochi con Luca Curatoli l’unico posto in palio per l’Olimpiade.
“È una situazione un po’ particolare perché io e Luca ci alleniamo insieme ed è una situazione difficile da gestire. Tra l’altro avevamo lo stesso maestro, io poi l’ho cambiato. In questo momento sono un punto avanti a lui, ma è come se non ci fosse perché praticamente chi andrà meglio nell’ultima gara si qualificherà a Rio. Io la vivo molto tranquillamente, perché ho già partecipato all’Olimpiade, penso di aver già dato tanto a questo sport. Spero di poter essere a Rio perché potrebbe essere l’ultima Olimpiade, avendo ormai un’età che si fa sentire, diciamo così”.
L’Italia sta spingendo molto per allargare il programma olimpico, così da non escludere nessuna gara a squadre. Il Comitato olimpico internazionale, però, ha deciso per il momento di non cambiare le regole e, quest’anno, voi della sciabola maschile e le ragazze del fioretto resterete esclusi dall’Olimpiade. Come la vivi?
“È una situazione veramente strana, perché per non inserire due gare in più vengono tirate fuori, a giro, due competizioni. Purtroppo stavolta tocca a noi ma nelle ultime due edizioni era toccato alle altre discipline. Credo sia giusto evitare questa situazione di disagio che viviamo noi atleti, soprattutto nella scherma perché, tra l’altro, per l’Italia sono state eliminate due gare in cui a Londra 2012 abbiamo preso una medaglia di bronzo e una medaglia d’oro. Ci auguriamo tutti noi schermidori che le cose possano cambiare”.
Qual è la gara che ricordi con più gioia? Quale sconfitta con più rammarico?
“Con più gioia l’Olimpiade di Londra, una gara in un giorno particolare, speciale in un cui tutto ha funzionato e mi sono affermato a livello internazionale, non solo nelle competizioni a squadre ma anche in quelle individuali. Quella che ricordo, invece, con meno piacere è l’Olimpiade di Pechino, durante la gara a squadre probabilmente non ero ancora pronto né mentalmente, né fisicamente per sostenere la pressione di una manifestazione così importante e non è stata sicuramente la mia gara più bella”.
A proposito di ricordi, torniamo indietro di un anno. Nel 2015 a Mosca hai vinto l’oro mondiale con Montano, Berrè e Curatoli; l’Italia non centrava questo titolo da 20 anni e voi ci stavate provando già da un po’ arrivando, negli anni precedenti, secondi o terzi. Cos’è scattato? Come siete riusciti a fare il salto di qualità?
“Erano tanti anni che ci provavamo. Con una squadra composta da me, Aldo Montano e Luigi Tarantino siamo arrivati due volte secondi e abbiamo perso per dinamiche un po’ particolari. Poi sono cambiate un po’ le cose e abbiamo trovato un equilibrio con l’ultima squadra: un mix fra giovani e “vecchi”. Ci siamo io e Aldo che siamo più grandi e poi i giovani che hanno la freschezza per poter arrivare al risultato che abbiamo ottenuto a Mosca. Forse questa è la chiave”.
Quando ti sei avvicinato per la prima volta alla sciabola? Quando hai scoperto che poteva diventare il tuo lavoro e non era soltanto un hobby?
“Ho cominciato prestissimo, quando avevo sei anni, quasi trent’anni fa. L’ho capito da subito perché per me andare in palestra non è mai stato un gioco e neanche troppo un divertimento, purtroppo. L’ho subito interpretato come un lavoro. Ho avuto sempre tanta costanza negli allenamenti, ho partecipato a tutti gli allenamenti che mi venivano indicati dal mio maestro. In questo momento forse mi trovo meglio rispetto a quando ero piccolo perché prima dovevo fare tante rinunce per allenarmi, ora la mia vita gira intorno all’allenamento e quindi mi è tutto più facile”.
Questo sport ha sicuramente cambiato la tua vita: c’è qualcosa che hai sacrificato?
“Ho rinunciato a tante piccole cose, cose che gli adolescenti fanno e io non ho potuto fare, ma posso assicurare che ne è valsa la pena. Per quanto mi riguarda non rimpiango assolutamente nulla e, anzi, se potessi lo farei per altri trent’anni. Purtroppo mi risulta un po’ complicato continuare con gli allenamenti al 100% perché arrivato a una certa età hai delle piccole difficoltà di altro genere”.
Hai una figlia ancora piccola: ti piacerebbe se anche lei seguisse le tue orme oppure vorresti un futuro diverso?
“Io credo molto nello sport e nei suoi valori, quindi sicuramente mia figlia farà sport. Non credo sia la scelta giusta farle fare scherma perché vivere con il peso del papà che è stato un campione può essere anche difficile. Se lei vorrà farlo, però, le troverò un ottimo maestro, e non me… Altrimenti farà un altro sport”.
Hai gareggiato ovunque nel mondo, hai viaggiato tantissimo e hai visto, quindi, varie realtà. Hai mai pensato di lasciare Napoli?
“Purtroppo sì. Quando avevo 21 anni ho lasciato Napoli per tre o quattro anni per vivere a Roma perché il tecnico della nazionale voleva tutti gli atleti fermi nella capitale. È stata una bellissima esperienza, ma per me è stato fondamentale poter tornare nella mia città. Io sono molto, molto legato a Napoli, amo profondamente la mia terra. Ho pensato parecchie volte di andarmene perché questa città, purtroppo, ha tante difficoltà e tanti problemi. Poi ci ho ripensato e ho cercato di fare qualcosa proprio per Napoli. Mi piacerebbe che anche coloro che pensano di andare via riflettano un po’ e facciano anche loro qualcosa per Napoli”.
Per questo hai fondato un’associazione che vanta soci come Rosolino, Oliva, Ciro Ferrara. Pensi che lo sport possa aiutare i giovani, possa essere un’alternativa valida alla criminalità, alla strada, un centro di aggregazione?
“Le uniche cose che salvano i ragazzi napoletani di certe zone sono lo studio e lo sport. Abbiamo questa associazione che si chiama “Milleculure” e racchiude tutti i campioni napoletani: dai fratelli Porzio a Patrizio Oliva, Maddaloni, Massimiliano Rosolino, c’è la fondazione Ferrara-Cannavaro, insomma abbiamo tutti l’idea di poter fare qualcosa. Questa palestra si trova in una zona particolare, a Soccavo, una zona dove lo sport e lo studio devono agire: è fondamentale dare ai ragazzi la possibilità di fare sport. Tutto il resto purtroppo non posso farlo, ma nel mio campo ci metto tutta la buona volontà, come ho detto, con i miei associati, e vedremo cosa riusciamo a fare”.
Il tuo senso di appartenenza si estende alla squadra calcistica. Sei molto tifoso del Napoli. Adesso, scaramanzia a parte, chi vince lo scudetto fra Napoli e Juve?
“Io sono scaramantico, già non avrei dovuto parlare dell’Olimpiade e ora anche il calcio…Sono le due squadre che esprimono il gioco migliore, forse il Napoli ha qualcosa in meno in termini di mentalità ma qualcosa in più in termini di gioco. Sinceramente non lo so. Spero, mi auguro di poter vivere come qualche anno fa, quando ero piccolo, la stessa emozione”.
Higuain può diventare come Messi o Ronaldo? Può concorrere per il Pallone d’Oro?
“Mah, non me ne voglia, tra le altre cose siamo anche vicini di casa, ma non lo so. Io credo che Messi e Ronaldo siano due extraterrestri, due giocatori inarrivabili. Lui viene sicuramente subito dopo. Magari allenandosi potrebbe arrivare anche ai loro livelli, chissà…”.
Il calcio in Italia è quasi un culto, una religione. Secondo te mette in ombra gli altri sport come la scherma? Secondo te dovrebbero avere un po’ più risonanza, più visibilità?
“Ma non dipende dal calcio. Il calcio muove tanti soldi, tanti sponsor. La gente ogni domenica va allo stadio, segue le partite ed è felice. Il discorso è che il mio sport, come tanti altri sport, è poco visibile, particolare e difficile da capire e comprendere. Ma vi assicuro che se ci dessero la possibilità di far conoscere meglio la scherma, sarebbe molto seguita anche perché è divertente. Il mio sport, come anche il judo e tante altre attività sportive. Quindi non dipende dal calcio, dipende da chi vuole far conoscere lo sport, in realtà”.
Diego, tu pratichi sport a livello agonistico, ti alleni e hai una famiglia. Quando hai un po’ di tempo libero, cosa fai?
“Ne ho poco, veramente poco. In realtà prima di aprire questa palestra avevo qualche ora disponibile per me e la dedicavo soprattutto alla mia famiglia, a mia figlia. In questo momento, in questo periodo, tra allenamenti, Olimpiade e questa palestra, ho veramente poco tempo. Diciamo che quando ero piccolo mi piaceva viaggiare,conoscere il mondo e, quel poco che non ho visto tramite la scherma ho cercato sempre di scoprirlo nel mio tempo libero. Ora lo dedico a quest’associazione e alla mia famiglia”.